domenica 29 dicembre 2024

Storia della capoeira


Articolo da Frontierenews.it

Calci fulminei, movimenti ipnotici, canti ritmati e il suono inconfondibile del berimbau. Osservare una “roda de capoeira” (il cerchio in cui si pratica) è come essere trasportati in un rituale antico, un misto di danza e lotta, di sfida e complicità. Ma dietro la spettacolarità dei movimenti e l’energia contagiosa c’è una storia di oppressione, resistenza e libertà. Nata tra gli schiavi africani portati in Brasile, la capoeira è molto più di una semplice arte marziale: è una forma di ribellione mascherata, un linguaggio di libertà che, come il samba o il jazz, ha attraversato i secoli trasformandosi in simbolo di identità culturale e orgoglio collettivo.

Le radici africane della capoeira

La storia della capoeira inizia nei secoli bui della tratta degli schiavi. Dal XVI secolo, milioni di africani vennero deportati dall’Angola, dal Congo e da altre regioni dell’Africa occidentale verso il Brasile coloniale, dove vennero costretti a lavorare nelle piantagioni di zucchero, caffè e cotone. Strappati dalle loro terre, questi uomini e donne portarono con sé tradizioni, lingue, religioni e anche tecniche di combattimento.

Per gli schiavisti portoghesi, qualsiasi forma di aggregazione tra gli schiavi rappresentava un rischio di ribellione. Per questo, le riunioni collettive vennero vietate, se non per eventi di preghiera o celebrazioni. Fu qui che l’ingegno degli schiavi prese forma: decisero di trasformare le tecniche di combattimento in danza mascherata, utilizzando la musica e il ritmo per camuffare i loro allenamenti.

Nasce così la “roda”, il cerchio sacro della capoeira. All’interno di questo spazio delimitato dai corpi dei compagni, i capoeiristi si sfidavano in quello che sembrava un gioco danzante, ma che in realtà era un addestramento segreto al combattimento. Il suono del berimbau – uno strumento musicale a corda unico nel suo genere – serviva da segnale d’allarme: se un sorvegliante bianco si avvicinava, il ritmo cambiava e i movimenti si facevano più lenti e gioviali, trasformando il combattimento in una danza innocua.

Strumento di lotta e libertà

L’inganno strategico alla base della capoeira dimostra come l’arte della guerra possa assumere forme inaspettate. I calci rotanti (come il celebre “meia-lua de compasso”) non erano solo movimenti spettacolari, ma strumenti di autodifesa. In caso di fuga o ribellione, uno schiavo capoeirista poteva stendere a terra un soldato o un sorvegliante con un solo calcio.

Questi movimenti richiedevano un’estrema fluidità e coordinazione. La base della capoeira è la ginga, un movimento costante del corpo avanti e indietro che tiene l’avversario in allerta e il capoeirista sempre in movimento, pronto a scattare in qualsiasi direzione. La ginga non è solo una tecnica, ma un simbolo della mentalità del capoeirista: mai fermarsi, mai restare fermi in un punto, sempre pronti a cambiare ritmo e strategia.

Ma la capoeira non era solo difesa. Era anche un grido di identità e di resistenza culturale. Ogni canzone cantata nella roda raccontava le sofferenze e le speranze di un popolo in cerca di libertà. I testi parlavano di eroi ribelli, di fughe coraggiose e di sfide al potere. Il canto non era solo un elemento di accompagnamento, ma un atto politico.

La criminalizzazione della capoeira e il suo ritorno in superficie

Con l’abolizione della schiavitù in Brasile nel 1888, la capoeira non scomparve. Anzi, continuò a prosperare nei quartieri più poveri, specialmente a Salvador de Bahia e Rio de Janeiro, diventando una forma di lotta contro la nuova oppressione sociale. Ma questa volta, la lotta non era più nascosta. I governi brasiliani iniziarono a vedere la capoeira come una minaccia sociale.


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Fonte: Frontierenews

Autore: redazione Frontierenews.it

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Articolo tratto interamente da Frontierenews.it


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