domenica 29 dicembre 2024

La crisi dell’auto



Articolo da CRS - Centro per la Riforma dello Stato

Le difficoltà di Stellantis si iscrivono in un quadro europeo dove le industrie automobilistiche perdono terreno commerciale a favore della Cina e rimangono indietro nello sviluppo tecnologico anche rispetto agli USA. È indispensabile maggiore lungimiranza circa i temi ambientali e il rapporto col Sud globale. 

Chi si aspettava dall’incontro del 17 dicembre fra Stellantis e il Governo una vera svolta, la può trovare solo nei titoli di qualche giornale compiacente. Si può certamente dire che l’occasione sia servita per togliere qualche ruggine accumulatasi nelle relazioni tra il Ministero del Made in Italy (una denominazione quanto mai insincera) e i manager dell’industria automobilistica, approfittando anche della dipartita di Tavares, ma nulla più di questo. D’altro canto le tradizioni non si smentiscono. Gianni Agnelli, parlando del gruppo Fiat, diceva “Noi siamo governativi per definizione”1. La Fiat non c’è più, ma quello che resta si aggrappa a una postura che in qualche modo vuole riattivare. Non stupisce perciò l’entusiasmo del ministro Adolfo Urso, che si è permesso persino di nascondere sotto il tappeto il definanziamento di 4,6 miliardi dal Fondo automotive operato dalla manovra economica e di sbandierare l’inserimento nella medesima, tramite emendamento alla Camera, di soli 400 milioni come un atto di generosa riparazione. Urso ha parlato anche di 1,6 miliardi di euro disponibili per la filiera auto. Ma a tale cifra si arriva sommando diverse voci, che riguardano una pluralità di settori, quindi non tutte facenti riferimento all’automotive, fra cui, oltre ai già citati milioni di euro tra nuovi e residui del Fondo specifico, vi sarebbero quelli per i contratti di sviluppo (500 milioni) già esistenti, perché stanziati dal PNRR e destinati a più filiere strategiche, di cui l’auto è solo una di queste. Sommando queste cifre più altre frattaglie, il Governo promette di giungere alla poco mirabile quota di 1,6 miliardi nel triennio, subito giudicata del tutto insufficiente da Anfia (l’Associazione nazionale della filiera industria automobilistica).

Tutto ciò in cambio di che? Il nuovo numero uno di Stellantis in Europa, Jean Philippe Imparato, ha chiarito che il target di un milione di veicoli prodotti in Italia, vagheggiato solo un anno e mezzo fa, resta un sogno – per usare un eufemismo – dal momento che il volume del prodotto si è ridotto rispetto al 2023 d quasi il 30% e che si prevede che tra veicoli industriali leggeri e vetture auto il bilancio del 2024 raggiungerà a stento le 500.000 unità. Per queste ultime la quota che al massimo verrà raggiunta nel 2025 – giudicato un anno duro, ma quale non lo è con queste premesse? – sarà di 350.000, vale a dire che si ritorna ai livelli del 1957, quando il “miracolo economico” era solo alle porte. Il manager francese di origini italiane non poteva in quella sede che promettere la continuazione, anzi persino l’incremento produttivo nel nostro paese. Ma in concreto si è visto bene poco. Vedremo cosa si inventerà il presidente di Stellantis, John Elkann, che dopo un primo rifiuto si è detto disponibile a una audizione in Parlamento. Non si può comunque considerare un vero piano industriale qualche annuncio, come l’installazione di una nuova piattaforma Stla-Small a Pomigliano e forse a Cassino nel 2028. Al massimo lo si può considerare un “piano di transizione”, come lo ha chiamato, non privo di generosità, il segretario generale della FIOM, Michele De Palma2.

Imparato si è difeso dicendo che “per produrre un milione di vetture ci vogliono tre condizioni: prodotto, motori, mercato”, quest’ultimo in chiave europea. Le prime due cose ci sarebbero, ma sulla terza, cioè la risposta del mercato, non intende fare “promesse non mantenute”. Naturalmente non è passato neppure per la testa, né a lui né ai suoi dirimpettai del Governo italiano, che per avere mercato bisogna anche che si innalzi la capacità d’acquisto dei cittadini, la quale non può essere garantita solo con una politica di incentivi governativi che l’esperienza ha dimostrato non essere affatto risolutiva, specialmente nel caso italiano, ove le recenti rilevazioni dell’Istat hanno certificato una perdita di reddito e un aumento della povertà record nella stessa Europa, che pure bene non sta. Il quadro dell’auto è il peggiore di tutti, ma non è isolato. È tutta la produzione industriale a essere in crisi, particolarmente nel nostro paese, dove è evidente – non solo per colpa del Governo attualmente in carica – l’assenza di una qualunque politica industriale, per non parlare di uno straccio di programmazione. L’ultimo aumento della produzione industriale nel nostro paese risale all’inizio di febbraio del 2023. Da allora è stato un seguirsi di segni meno, mese per mese, trimestre per trimestre. Anche il settore delle macchine utensili, un punto di eccellenza italiano soprattutto nelle esportazioni – che infatti tengono meglio del mercato interno – conosce una profonda crisi che l’UCIMU (l’associazione degli industriali del settore) certifica prevedendo per il 2024 una caduta di 35 punti della domanda interna di questi macchinari. Intanto nel 2023 Carlos Tavares ha guadagnato 23,5 milioni di euro, mentre la paga mensile media di un operaio della Stellantis non ha superato i 2.100 euro lordi, che nei periodi di cassa integrazione si sono ridotti a 1.200. E, tanto per sfatare una vulgata a uso padronale, il Centro studi della FIOM nazionale ha rilevato che “il valore aggiunto per ora lavorata in Italia in quasi tutti i settori metalmeccanici è superiore alla media dell’Unione europea, un segnale importante della produttività del lavoro”3.

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Fonte: CRS - Centro per la Riforma dello Stato


Autore: 
Alfonso Gianni

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Articolo tratto interamente da CRS - Centro per la Riforma dello Stato


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