mercoledì 13 settembre 2023

Storie di confine



Articolo da Open Migration

Al confine tra Tunisia e Libia si incontrano le storie di persone fuggite dai propri paesi. Ilaria Romano ne ha raccolte alcune per noi, raccontandoci di chi ha subito torture in Libia, di chi ragazzino viaggia da solo per raggiungere l'Europa e aiutare la propria famiglia. Della difficoltà delle loro vite, di un sentimento anti migranti che cresce, ma anche della solidarietà che incontrano.

In un caffè della periferia di Medenine la tv è sintonizzata su una partita di calcio, e gli avventori siedono tutti in fila, uno vicino all’altro, dando le spalle all’ingresso per guardarla.
Nessuno consuma nulla, qualcuno accende una sigaretta, tutti seguono il gioco. Alcuni di loro sono molto giovani, poco più che bambini, altri hanno fra i venticinque e i trent’anni, il più adulto è accompagnato dal figlio di otto anni, che fa avanti e indietro tra la fila di sedie colorate e il bancone, dove il barista cerca un gelato da regalargli.
“In questo locale i migranti subsahariani sono i benvenuti – spiega il titolare – anche quando non hanno i soldi per la consumazione. Magari gli offro solo dell’acqua, o un tè, e possono guardare la televisione. Molti di loro dormono per strada, qualcuno riesce anche a trovare una casa in affitto, da dividere con altri, ma spesso si tratta di tuguri. Hanno affrontato viaggi terribili e io li rispetto per questo.”

Le fratture di Mohammed

Intanto Mohammed si è spostato dal resto del gruppo ed è seduto in veranda a prendere una boccata d’aria. Cammina piano, con la schiena leggermente curva, e una mano sul fianco destro.
Ha ventiquattro anni ma sembra un adolescente. “Ho sempre dei dolori molto forti da quando mi hanno rotto le costole – racconta – è successo molti mesi fa in prigione, in Libia, non mi sono mai ripreso del tutto. Avrei bisogno di un dottore, ma non ne ho mai incontrato uno, nemmeno quando sono entrato qui in Tunisia e sono stato registrato dall’Unhcr come richiedente asilo.” Partito dall’Eritrea oltre un anno fa, Mohammed è stato bastonato più volte durante la sua detenzione. “Mi ha detto che per molti giorni ha perso sangue ogni volta che tossiva – interviene Kibrom che lo ha appena raggiunto fuori – poi pian piano è guarito, ma non completamente. Io stesso sono stato in carcere in Libia e so cosa vuol dire, ho un piede che non muovo più come prima per le botte che ho preso, ma ci sono altri ragazzi come me che sono stati ammazzati, quindi sono stato fortunato.”

Kibrom, il viaggiatore bambino

Kibrom ha sedici anni ed è partito dall’Etiopia quasi tre anni fa, quando ne aveva tredici. È scappato nel novembre del 2020, poco dopo l’inizio del conflitto del Tigrai tra le forze governative
di Adis Abeba e il Fronte di liberazione del popolo Tigrai. Provenienti da due paesi confinanti e per anni in guerra, poi passati entrambi dalla detenzione in Libia in momenti differenti, Mohammed e Kibrom si sono conosciuti in Tunisia, dopo aver attraversato la frontiera, e sono diventati amici.
Mohammed non sa leggere, e Kibrom gli sta insegnando a riconoscere i numeri, per poter usare il cellulare da solo. “La mia famiglia è ancora oggi in grave difficoltà, anche se la guerra è finita – dice – perché la mia regione è stata sotto assedio per due anni e ridotta alla fame. Per questo non sono tornato indietro, voglio raggiungere l’Europa e aiutare da lì i miei genitori. Anche io ho ricevuto il tesserino dell’Unhcr, con quello posso muovermi per tutto il paese, ma sono qui da pochi giorni e oggi non saprei dove andare. In realtà vorrei imbarcarmi per l’Italia.”

Nel sud, permanenza temporanea

Medenine, Tataouine, Zarzis e Ben Gardane, sono le città del sud est della Tunisia dove si concentra il maggior numero di migranti che hanno appena attraversato la frontiera con la Libia,
provenienti principalmente dai paesi dell’est dell’Africa Subsahariana, dall’Eritrea alla Somalia, dal Sudan alla Nigeria.
Si tratta di cittadine di medie dimensioni, dove la permanenza non è quasi mai duratura, perché chi arriva qui si ferma solo finché non trova l’occasione di spostarsi più a nord, verso Gabes o Sfax perché ha trovato un contatto per raggiungere un punto di imbarco verso la sponda opposta del Mediterraneo. Il principale snodo delle partenze via mare è Sfax, il secondo centro urbano del paese dopo Tunisi, e l’unico motore industriale di tutta la Tunisia. Nella grande città è più facile trovare lavoro, ma anche finire in qualche rete criminale che prometta di accelerare la raccolta del denaro che occorre per la tappa successiva, la più costosa dopo le estorsioni subite in Libia.
“Negli ultimi giorni i migranti che camminano sul ciglio della strada sono sempre di più – dice Hatem, rientrato a Ben Gardane, sua città natale, per le vacanze estive – qui la gente cerca di
aiutare come può, gli regala acqua e cibo ma ha paura di offrire loro anche solo un passaggio, perché se si viene fermati dalla Guardia Nazionale si può essere accusati di fare da passeur per
denaro.” Da Ben Gardane si cammina costeggiando il mare, da soli, o in piccoli gruppi, sotto il sole cocente e con lunghi tratti di deserto fra un centro abitato e l’altro. Uno dei rischi che si corre è quello di essere depredati lungo la strada, quando ci si ferma per riposare.

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Fonte: Open Migration


Autore: 
Ilaria Romano

Licenza: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale


Articolo tratto interamente da 
Open Migration


2 commenti:

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