Articolo da Open Migration
Al confine tra Tunisia e Libia si incontrano le storie di persone fuggite dai propri paesi. Ilaria Romano ne ha raccolte alcune per noi, raccontandoci di chi ha subito torture in Libia, di chi ragazzino viaggia da solo per raggiungere l'Europa e aiutare la propria famiglia. Della difficoltà delle loro vite, di un sentimento anti migranti che cresce, ma anche della solidarietà che incontrano.
In
un caffè della periferia di Medenine la tv è sintonizzata su una
partita di calcio, e gli avventori siedono tutti in fila, uno vicino
all’altro, dando le spalle all’ingresso per guardarla.
Nessuno
consuma nulla, qualcuno accende una sigaretta, tutti seguono il gioco.
Alcuni di loro sono molto giovani, poco più che bambini, altri hanno fra
i venticinque e i trent’anni, il più adulto è accompagnato dal figlio
di otto anni, che fa avanti e indietro tra la fila di sedie colorate e
il bancone, dove il barista cerca un gelato da regalargli.
“In
questo locale i migranti subsahariani sono i benvenuti – spiega il
titolare – anche quando non hanno i soldi per la consumazione. Magari
gli offro solo dell’acqua, o un tè, e possono guardare la televisione.
Molti di loro dormono per strada, qualcuno riesce anche a trovare una
casa in affitto, da dividere con altri, ma spesso si tratta di tuguri.
Hanno affrontato viaggi terribili e io li rispetto per questo.”
Le fratture di Mohammed
Intanto
Mohammed si è spostato dal resto del gruppo ed è seduto in veranda a
prendere una boccata d’aria. Cammina piano, con la schiena leggermente
curva, e una mano sul fianco destro.
Ha ventiquattro anni ma sembra
un adolescente. “Ho sempre dei dolori molto forti da quando mi hanno
rotto le costole – racconta – è successo molti mesi fa in prigione, in
Libia, non mi sono mai ripreso del tutto. Avrei bisogno di un dottore,
ma non ne ho mai incontrato uno, nemmeno quando sono entrato qui in
Tunisia e sono stato registrato dall’Unhcr come richiedente asilo.”
Partito dall’Eritrea oltre un anno fa, Mohammed è stato bastonato più
volte durante la sua detenzione. “Mi ha detto che per molti giorni ha
perso sangue ogni volta che tossiva – interviene Kibrom che lo ha appena
raggiunto fuori – poi pian piano è guarito, ma non completamente. Io
stesso sono stato in carcere in Libia e so cosa vuol dire, ho un piede
che non muovo più come prima per le botte che ho preso, ma ci sono altri
ragazzi come me che sono stati ammazzati, quindi sono stato fortunato.”
Kibrom, il viaggiatore bambino
Kibrom
ha sedici anni ed è partito dall’Etiopia quasi tre anni fa, quando ne
aveva tredici. È scappato nel novembre del 2020, poco dopo l’inizio del
conflitto del Tigrai tra le forze governative
di Adis Abeba e il
Fronte di liberazione del popolo Tigrai. Provenienti da due paesi
confinanti e per anni in guerra, poi passati entrambi dalla detenzione
in Libia in momenti differenti, Mohammed e Kibrom si sono conosciuti in
Tunisia, dopo aver attraversato la frontiera, e sono diventati amici.
Mohammed non sa leggere, e Kibrom gli sta insegnando a riconoscere i
numeri, per poter usare il cellulare da solo. “La mia famiglia è ancora
oggi in grave difficoltà, anche se la guerra è finita – dice – perché la
mia regione è stata sotto assedio per due anni e ridotta alla fame. Per
questo non sono tornato indietro, voglio raggiungere l’Europa e aiutare
da lì i miei genitori. Anche io ho ricevuto il tesserino dell’Unhcr,
con quello posso muovermi per tutto il paese, ma sono qui da pochi
giorni e oggi non saprei dove andare. In realtà vorrei imbarcarmi per
l’Italia.”
Nel sud, permanenza temporanea
Medenine,
Tataouine, Zarzis e Ben Gardane, sono le città del sud est della
Tunisia dove si concentra il maggior numero di migranti che hanno appena
attraversato la frontiera con la Libia,
provenienti principalmente dai paesi dell’est dell’Africa Subsahariana, dall’Eritrea alla Somalia, dal Sudan alla Nigeria.
Si tratta di cittadine di medie dimensioni, dove la permanenza non è
quasi mai duratura, perché chi arriva qui si ferma solo finché non trova
l’occasione di spostarsi più a nord, verso Gabes o Sfax perché ha
trovato un contatto per raggiungere un punto di imbarco verso la sponda
opposta del Mediterraneo. Il principale snodo delle partenze via mare è
Sfax, il secondo centro urbano del paese dopo Tunisi, e l’unico motore
industriale di tutta la Tunisia. Nella grande città è più facile trovare
lavoro, ma anche finire in qualche rete criminale che prometta di
accelerare la raccolta del denaro che occorre per la tappa successiva,
la più costosa dopo le estorsioni subite in Libia.
“Negli ultimi
giorni i migranti che camminano sul ciglio della strada sono sempre di
più – dice Hatem, rientrato a Ben Gardane, sua città natale, per le
vacanze estive – qui la gente cerca di
aiutare come può, gli regala
acqua e cibo ma ha paura di offrire loro anche solo un passaggio, perché
se si viene fermati dalla Guardia Nazionale si può essere accusati di
fare da passeur per
denaro.” Da Ben Gardane si cammina costeggiando
il mare, da soli, o in piccoli gruppi, sotto il sole cocente e con
lunghi tratti di deserto fra un centro abitato e l’altro. Uno dei rischi
che si corre è quello di essere depredati lungo la strada, quando ci si
ferma per riposare.
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Fonte: Open Migration
Autore: Ilaria Romano
Licenza:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale.
Articolo tratto interamente da Open Migration
Un'informazione interessante.
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