venerdì 2 settembre 2022

Flat tax: la vergognosa tassa che ruba ai poveri per dare ai ricchi



Articolo da La Fionda

Vorremmo sottoporre ai lettori alcune riflessioni a partire da un piccolo “caso di studio”: il tema elettorale della Flat Tax. Ma il nucleo vero del nostro ragionamento è più ampio – dare qualche spunto su come affrontare questo ed altri temi da sinistra. Per inciso: non iniziamo a discutere se esistono ancora destra e sinistra prima di aver finito l’articolo, per favore.

A metà articolo troverete una cesura, che separa radicalmente due prospettive: laddove infatti la disamina dettagliata di una politica è un momento necessario per capire se rigettarla, non è detto che questo approccio analitico sia poi il modo migliore di contrastarla. In questa seconda sezione faremo pertanto qualche riflessione su come combattere politiche ingiuste ed indigeste.

Sia chiaro: non vogliamo dire la parola definitiva sulla Flat tax; men che meno risolvere i (tanti) problemi della sinistra in questo banale articoletto. Non abbiamo le “istruzioni per l’uso”, sebbene questa sia la forma che provocatoriamente abbiamo adottato. Non vogliamo insegnare niente a nessuno. Vorremmo discutere – assieme – qualche spunto, eclettico, di riflessione.

ATTO PRIMO

Come affrontare un tema, dal punto di vista analitico, passo dopo passo.

1. Definire concettualmente l’oggetto

Cosa vuol dire Flat Tax, nelle sue accezioni?  Essenzialmente, per Forza Italia e Lega, un’aliquota unica per tutti coloro che sono soggetti a imposizione fiscale (cittadini e imprese), che stanno al di sopra di una “no tax area”. Ad esempio, si può decidere che sopra gli 8 o i 12mila euro di reddito annuo, si applichi una aliquota fissa del 23% su quanto supera questa soglia (proposta di Forza Italia).

Per questo viene definita “flat tax“, ossia letteralmente “tassa piatta”, o meglio tassa “fissa”. Come le offerte “flat” delle nostre compagnie telefoniche.

Si tratta quindi di un sistema proporzionale (ognuno paga in proporzione a quanto guadagna), ma non progressivo (ognuno paga la stessa identica percentuale, vale a dire che i ricchi non pagano percentualmente più dei poveri).

2. Analizzare il tema e la proposta

Analizzare la proposta vuol dire sviscerarne gli effetti pratici, le ricadute, le coperture finanziarie.

Le differenze con la situazione odierna sarebbero per sommi capi queste: scomparirebbero le aliquote attuali superiori al 23%; la “no tax area” rimarrebbe fino alla soglia definita, poniamo 12mila euro come da vecchia proposta di Forza Italia. Sopra ad essa: 15%. E in questi sistemi non si prevede probabilmente nessuna detrazione e deduzione per i lavoratori (anche se si potrebbe, per renderla minimamente progressiva in qualche aspetto): tutto dovrebbe essere ricondotto a questa unica percentuale di tassazione, uguale per tutti.

Abbiamo detto che la “tassa piatta” è una tassazione proporzionale, ma non progressiva. Banalizziamo e semplifichiamo, per capire meglio. Al di sopra della “no tax area”, diciamo 12mila euro, si paga sempre il 23%. 230 euro di tasse su 13mila euro di reddito, cioè il 23% di 1000 euro (13mila meno 12mila, uguale 1000 euro), ad esempio. 230mila euro di tasse su un milione e 12 mila euro.  Sono “conti della serva”, per capire il concetto. La proposta della Lega ha delle differenza nell’impianto, ma concettualmente non sono così rilevanti, come vedremo.

Il Corriere della sera – giornale sicuramente non di sinistra – riporta un’analisi del centro studi della UIL secondo cui essa sarebbe addirittura penalizzante per i redditi medio-bassi (a causa dell’eliminazione delle detrazioni e deduzioni, potrebbero pagare anche di più di ora). Mentre le tasse diminuiscono in maniera “clamorosa” sopra i 50mila euro di reddito lordo: -43% rispetto ad oggi.

3. Mettere criticamente il punto 2 alla prova dei fatti

Lo stesso quotidiano evidenzia un punto problematico: le coperture (complicate) sarebbero importanti, 30 o 50 miliardi (ma c’è chi dice di più) con la proposta di Forza Italia o quella della Lega. Tanto che Fratelli d’Italia ha fatto inserire nel programma del centrodestra non la prima proposta o la seconda, quelle degli alleati, ma la propria, che prevede una sorta di flat tax sull’incremento di reddito rispetto a quello degli ultimi anni (di nuovo, non è utile entrare nei dettagli).

Queste risorse andrebbero trovate con ulteriori tagli alle detrazioni e deduzioni, riduzioni della spesa pubblica e, secondo le intenzioni, almeno nella prima fase con condoni fiscali. Dopodiché l’evasione che emergerà dovrà coprire i costi grazie ad un aumento delle entrate si cui scommette la destra. 

Meno tasse, moltiplicato un bel po’ di gente, significa meno entrate nel bilancio pubblico. E in tutto questo, la proposta elettorale trascura volutamente alcuni possibili vincoli (il vincolo del pareggio di bilancio che il Governo Monti inserì in Costituzione; il vincolo del rapporto del 3% tra deficit e Prodotto Interno Lordo – i famosi parametri di Maastricht – cui non si potrebbe derogare per queste riforme fiscali; infine, ricordiamo una prescrizione costituzionale che dice che il sistema tributario deve essere impostato alla progressività).

Sono tutti e tre vincoli ideologici (non dovuti a una qualche legge scientifica di natura), certo. Come tali, non sono immutabili. Soprattutto se si hanno i numeri per cambiare la Costituzione.

Il principio di progressività della tassazione è frutto di un compromesso ideologico, in chiave popolare, tra le forze che hanno fondato la repubblica italiana: tassazione progressiva significava politiche popolari, redistribuzione della ricchezza prodotta, solidarietà sociale, sviluppo sociale ed economico. Parole che nel contesto del compromesso keynesiano del dopoguerra potevano piacere tanto ai democristiani quanto ai comunisti. I tempi sono cambiati, ma si spera che questa prescrizione di progressività possa creare qualche problema a chi vuole una “tassa piatta”. 

Ma non sono solo questi i problemi concreti della fantomatica “flat tax“. Anche se il problema delle coperture ha già bloccato una riforma fiscale berlusconiana basata su due aliquote nel 2003 (con la flat tax enormi costi a beneficio di pochi), la sfida politica vera è proprio definire “chi vince? E chi perde?”

4. Leggere i contenuti ideologici sottesi alla proposta (per combatterli)

I tempi sono cambiati, dicevamo. Ripetiamo: meno soldi per un bel po’ di gente, vuol dire meno entrate fiscali; e meno entrate fiscali evidentemente significa meno servizi pubblici.

Chi utilizza i servizi pubblici? I ceti medi e bassi, tendenzialmente. Quindi per finanziare il risparmio per chi guadagna più di 50mila euro di reddito annuo, verranno tagliati mezzi di trasporto, chiusi ospedali e presidi sanitari pubblici, impoverite le scuole in cui i privilegiati non mandano i loro figli. Un’enorme opera di redistribuzione verso l’alto: rubare ai poveri e ai meno ricchi, per dare a ricchi e ricchissimi. Questo è il vero punto, quello che conta per le persone, non gli astratti costi (che ne sanno le persone normali di quanti sono 30 miliardi?) o le giuste, ma lontane, prescrizioni costituzionali (chi si ricorda della Costituzione e di come vada interpretata?).

La replica da destra è sempre la stessa: “meno soldi in tasse permette di far ripartire l’economia, i consumi dei privati e gli investimenti delle aziende, che – ingrandendo la “torta” dell’economia – porteranno a entrate maggiori per lo Stato”.

Dobbiamo avere la forza di dire che ciò è in gran parte falso e del tutto ideologico. Ci sarebbe molto da discutere sul ruolo dello Stato, che è il primo (e unico) attore capace di: contrastare un ciclo economico negativo, ampliare l’attività economica tramite investimenti pubblici, rassicurare i privati rispetto ai consumi e agli investimenti, sostenere l’attività delle aziende con le infrastrutture appropriate.

I privati lasciati a loro stessi, se ricchi, continueranno a investire in attività finanziare: più rischiose, ma con una possibile rendita molto alta. I privati non così tanto ricchi, invece, avranno qualche soldo in più da spendere presso le strutture sanitarie private che i ricchissimi mettono gentilmente a disposizione, per ovviare alle disfunzioni della sanità pubblica impoverita.

Come insegnava Keynes, i poveri hanno una propensione al consumo maggiore dei ricchi: per vivere decentemente devono spendere un’alta percentuale di quanto guadagnano. E questa riforma “piatta” darebbe ai subordinati cifre ridotte, ben poco decisive nel rilanciare i loro consumi. Soprattutto perché, come dicevamo, quei soldi risparmiati in tasse i poveri (e il ceto medio impoverito) li dovranno spendere per supplire alle carenze del pubblico: trasporti, sanità, scuola, sopra tutte le altre cose.

Una geniale operazione (indiretta e più subdola) di redistribuzione a favore dei ricchi.

Come insegnava sempre Keynes, le aspettative sono fondamentali in economia, anche per gli imprenditori: non aprirò fabbriche di ombrelli se sono convinto che per almeno dieci anni non pioverà. Anche se mi regalassero dei soldi, non li userei per la fabbrica di ombrelli, ma per altro. Quindi se mancano le infrastrutture perché lo Stato non ha soldi, se non c’è spazio di business per un certo settore o manca un piano industriale per l’attività economica del Paese, ben difficilmente l’imprenditore impiegherà quei soldi risparmiati sul suo reddito per investirli in attività produttive. Li investirà in borsa o in beni di lusso (che hanno ricadute occupazionali molto ridotte).

È quindi evidente a chiunque voglia interessarsene che la proposta di “flat tax” è un crimine sociale, una scandalosa redistribuzione da basso verso l’alto. Rubare a tutti per dare alle élite.

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Fonte: La Fionda


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Articolo tratto interamente da 
La Fionda


4 commenti:

  1. È una disamina talmente chiara e inequivocabile che meriterebbe approfondimenti in sede di confronti pre-elettorali. Non è così: chi la propone si ferma alla proposta, in un 'chi offre di più' che sa di asta fallimentare; chi la dovrebbe osteggiare con dati alla mano inconfutabili preferisce dedicarsi a beghe condominiali, dispetti e rinfacci reciproci su quello che poteva essere e non fu, a causa di questo o quello.

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    1. A quanto pare tutte le offerte elettorali (non promesse, offerte) sono slogan, perle buttate ai porci. E i porci (con tutto il rispetto per i suinidi) sono il popolo che le accoglie tutte con grandi 'wow!' di meraviglia che alcuno ci avesse mai pensato prima. Della tassa piatta c'è poco da aggiungere, wow!; l'azzeramento della tassa di successione è chiaramente destinata a chi lascia solo debiti, wow!; la riforma della giustizia riguarda i ladri di mele, certo non i grandi evasori, wow! E, a tutto, ci sarà chi abbocca. Inoltre, l'ipotesi di un presidenzialismo elettivo, sia per la presidenza della repubblica che per quella del consiglio dei ministri (wow!) riempiranno le piazze di osannanti a questi eletti... è già successo, e il disegno appare come una ripetizione di cosa già vista, presentata come inedita; ignorando volutamente come andò a finire.

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    2. Tutte cose che hanno già ripetuto altre volte, purtroppo il popolo crede a troppe favole, senza documentarsi mai.

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