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giovedì 16 ottobre 2025

Bangladesh, l'incendio che non fa notizia: 16 morti in fabbrica tessile



Ancora una volta, un fumo denso e acre si leva sopra Dhaka, portando con sé la tragedia e il puzzo della negligenza. Almeno 16 persone hanno perso la vita in un devastante incendio che ha colpito, secondo le prime ricostruzioni, una fabbrica tessile (o due fabbriche adiacenti, una chimica e l'altra tessile), riaccendendo un dibattito che in Bangladesh non si spegne mai, ma viene troppo spesso ignorato dal resto del mondo.

Martedì, l'ennesima struttura industriale, cuore pulsante e spesso malato dell'industria del fast-fashion globale, si è trasformata in una trappola mortale. Sebbene il bilancio di 16 vittime non abbia l'impatto numerico dei disastri precedenti, è l'eco tragico a essere insopportabile, il segno di una lezione che non è stata imparata, o che è stata volontariamente dimenticata.

Per comprendere la gravità di questo ennesimo incidente, bisogna fare i conti con la storia recente del Bangladesh, una storia macchiata dal sangue degli operai tessili. La nazione è il secondo esportatore mondiale di abiti, un pilastro della moda a basso costo per i marchi occidentali, e questo status ha un costo umano elevatissimo.

Il precedente storico più atroce, che ha squarciato la coscienza globale nel 2013, è il crollo del Rana Plaza. Un edificio di nove piani a Savar, vicino Dhaka, ospitava diverse fabbriche tessili. Nonostante le evidenti crepe, gli operai furono costretti a tornare al lavoro. Il 24 aprile 2013, l'edificio collassò, uccidendo 1.138 persone e ferendone oltre 2.500. Fu la più grave sciagura nella storia dell'industria tessile.

Ma il Rana Plaza non è stato un caso isolato. Solo pochi mesi prima, nel novembre 2012, un incendio nella fabbrica Tazreen Fashions, sempre alla periferia di Dhaka, aveva causato la morte di almeno 117 persone. In quell'occasione, le uscite di sicurezza bloccate e l'assenza di sistemi antincendio adeguati si rivelarono fatali, intrappolando le lavoratrici e i lavoratori tra le fiamme.

Questi disastri hanno portato a grandi accordi sulla sicurezza (come l'Accordo per la prevenzione di incendi e la sicurezza degli edifici in Bangladesh), e alcuni miglioramenti ci sono stati. Ma la tragedia di questi giorni, che sembra coinvolgere anche lo stoccaggio illegale di sostanze chimiche, dimostra che la sorveglianza e l'applicazione delle norme rimangono tristemente lacunose.

Ogni volta è la stessa storia: promesse di maggiore regolamentazione, indagini, un breve periodo di indignazione internazionale, e poi il silenzio, fino al prossimo disastro.

Le 16 vittime di questo recente incendio sono le ultime a pagare il prezzo di un sistema globale che valorizza i profitti a tutti i costi, anche a quello della vita umana. Sono i volti dimenticati che lavoravano per poche decine di euro al mese per produrre i capi che riempiono le nostre vetrine e i nostri armadi.

Autore: Spartaco

Licenza: pubblicato e concesso su richiesta dell'autore

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