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lunedì 21 luglio 2025

Manifesto per un diritto del lavoro della pace



Articolo da Cred-Gigi

L’umanità sta attraversando un crinale della storia che rischia di essere senza ritorno. La guerra e l’uso della forza armata sembrano costituire sempre di più l’unico mezzo per la risoluzione dei conflitti internazionali e per il perseguimento di miopi interessi nazionali, dimenticando che l’umanità ha un unico comune destino.

Il piano di riarmo deciso dall’Unione europea, l’aumento oltre ogni sostenibilità delle spese militari deciso dalla NATO, la folle corsa agli armamenti, costituiscono di per sé una “dichiarazione di guerra”, attraverso la sottrazione di risorse ai diritti fondamentali: la salute, la casa, l’istruzione, la cultura, la salvaguardia dell’ambiente.

L’economia di guerra condanna per sempre i lavoratori al precariato e allo sfruttamento ed è incompatibile con un “esistenza libera e dignitosa” (art. 36 Cost.). Essa inoltre comporta una proliferazione delle attività lavorative connesse con la guerra; la produzione, il commercio ed il trasporto delle armi, stanno portando ad un crescente coinvolgimento di lavoratori e lavoratrici in attività connesse direttamente o indirettamente con il settore bellico

Riteniamo che il movimento sindacale, con il sostegno delle forze della società civile che hanno a cuore la pace e il disarmo, abbia il dovere di dare una risposta all’altezza dei tempi al desiderio diffuso di tanti lavoratori e lavoratrici di sottrarsi agli ordini dei propri datori di lavoro quando questi sono in esplicito contrasto con i valori di pace e di convivenza umana: oggi più che mai si pone per i lavoratori il tema della “non collaborazione” con una economia di guerra e con un sistema di relazioni internazionali fondato sulla palese violazione del diritto internazionale e del diritto umanitario. Si tratta di andare oltre il motto “non in mio nome” e proclamare con azioni concrete “non con le mie mani, non con le mie conoscenze, non con il mio lavoro”.

Se “l’Italia ripudia la guerra” (art. 11 Cost.) e se “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” (art. 1 Cost.), deve ritenersi coerente con il dettato costituzionale la volontà dei lavoratori e delle lavoratrici di non collaborare, di disobbedire, di non effettuare nessuna prestazione lavorativa che abbia un’attinenza diretta o indiretta con l’economia e la cultura della guerra, in ogni settore: industriale, della logistica e del trasporto, della ricerca, dell’istruzione.

Questa volontà di disobbedienza deve potersi manifestare anzitutto con il libero esercizio del diritto di sciopero (art. 40 Cost.) e di ogni azione collettiva di lotta (art. 39 Cost) che si opponga alla guerra e alle politiche di riarmo

L’esercizio di questo diritto per essere davvero libero deve essere svincolato da ogni controllo del potere esecutivo e della Commissione di garanzia sul diritto di sciopero, dal momento che è di tutta evidenza che il trasporto e la movimentazione di armi dentro e fuori il territorio nazionale (a maggior ragione fuori dal territorio nazionale), non possono essere definiti “servizi pubblici essenziali” non avendo alcuna attinenza con “il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione” (art. 1 l. 146/1990) .

Riteniamo, al contrario, che lo sciopero contro le armi e le azioni collettive sindacali di contrasto alla movimentazione di armamenti costituiscano lo strumento più idoneo a garantire i principi costituzionali di rifiuto della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali ed il rispetto del diritto umanitario ed internazionale.

Ad un tempo riteniamo che debba essere garantito il diritto dei singoli lavoratori e delle singole lavoratrici di qualsiasi settore o comparto, di dichiararsi obiettori di coscienza per convincimenti morali, filosofici o religiosi rifiutando di effettuare la propria prestazione lavorativa se questa è connessa direttamente o indirettamente con le armi e la guerra ed essere assegnati a mansioni alternative. Pur auspicando che tale diritto sia garantito da una norma positiva, riteniamo sussista già nel nostro ordinamento un diritto all’obiezione di coscienza che trova la sua fonte in principi di diritto internazionale di diretta applicazione. La coscienza, insieme alla ragione, è ciò che distingue gli esseri umani, come recita l’art. 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”).  La Convenzione EDU, all’art. 9, prevede che “ogni persona” ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, senza alcuna eccezione. L’art. 2 della Costituzione “riconosce e garantisce” i diritti inviolabili dell’uomo.

Auspichiamo che pertanto venga riconosciuto il diritto di ogni lavoratore e lavoratrice di rifiutare per motivi di coscienza di effettuare la prestazione lavorativa se questa è connessa direttamente o indirettamente all’economia e alla cultura della guerra e di essere assegnato/a ad attività alternative.

Siamo convinti che lo sciopero, la disobbedienza, l’azione collettiva ed il rifiuto individuale da parte dei lavoratori e delle lavoratrici possano costituire la più efficace forma di lotta nonviolenta e possano fermare i signori della guerra e la follia del riarmo, consentendo alla Repubblica, fondata sul lavoro, di ripudiare la guerra e bandirla dalla storia.

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Fonte: Cred-Gigi


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Articolo tratto interamente da 
Cred-Gigi


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