Articolo da Enciclopedia delle donne
“Chicchi” è un nome che suggerisce giochi infantili, coccole
materne, un fumetto per bambine: evoca tutto fuorché la guerra. Invece
questo è stato il nome di battaglia di Teresa Mattei, “capitana di
compagnia” nella Resistenza eletta all'Assemblea Costituente, che le
cronache tramandano come la “cocchetta” di Terracini, la “signorina
tanto perbene” che sembrava una democristiana, la “ragazzina di
Montecitorio” che fece contento Togliatti perché la prima segretaria
d'aula era una comunista. Quando si è saputo della sua scomparsa, il 12
marzo 2013, la stampa ha rievocato quasi solo la sua invenzione della
mimosa come simbolo per la festa delle donne...In realtà fu una donna
determinata, sempre in conflitto con le istituzioni, forse anche con se
stessa, e si spese per dare senso a politiche che valorizzassero la
soggettività della vita quotidiana anche nelle istituzioni.
Chicchi era stata una “dura”: educata all'antifascismo,
già al Liceo si fece conoscere per aver protestato contro l'insegnante
che aveva elogiato le leggi razziali. Ancora adolescente, andò a
Nizza per portare a casa Rosselli un contributo degli amici fiorentini.
A Mantova, dove si era recata per incontrare don Mazzolari, venne
arrestata: in cella, a contatto con le prostitute, scoprì la piaga
sociale che Lina Merlin avrebbe affrontato nel nuovo Parlamento.
“Ardita come un uomo”, divenne insieme comunista e partigiana. Ardita come una donna,
dopo la morte del fratello (suicida in carcere per non tradire sotto
tortura), a Perugia fu imprigionata dai nazisti e subì le violenze che i
guerrieri impongono alle donne. Quando Firenze fu liberata raccontò di
essere stata lei a indicare ai gappisti la figura del filosofo - e suo
professore - Giovanni Gentile: la violenza del fascismo aveva insegnato
la crudeltà della logica amico/nemico ad una donna conosciuta non solo
per il rigore dei principi, ma per la dolcezza degli affetti.
Da “costituente” imparò che anche per i compagni le donne “stanno al loro posto”.
Non fu una femminista ante litteram: per la sua generazione la lotta di
liberazione (“nessuna Resistenza sarebbe potuta essere senza le donne”)
era stato il trampolino per una parità rimasta incompiuta. Le donne non
erano ancora cittadine, perché non potevano “acquisire una parte di
quella sovranità che spettava a tutti”: anche se “in guerra avevano
guidato treni, fatto le postine, finita la guerra erano state rimandate a
casa”.
Divenne scomoda al suo stesso partito per essersi
rifiutata di adeguare la propria vita di donna agli ordini di un Pci
moralista e bigotto: nell'inverno del 1947 era rimasta incinta
dalla relazione con un uomo sposato e Togliatti aveva deciso che
l'impudente doveva abortire (e non fu la sola donna a cui impose quella
scelta). Teresa reagì: «le ragazze madri in Parlamento non sono
rappresentate, dunque le rappresento io». La situazione fu poi
regolarizzata all'estero con un espediente, ma Teresa non perdonò.
La “maledetta anarchica” (come la chiamava Togliatti) ubbidì, ma
non accettò passivamente l'imposizione del voto a favore
dell'inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione (art. 7); per
questo rifiutò di candidarsi alle elezioni del 18 aprile 1948. Per
Teresa era diventato impossibile mantenere la fiducia nel comunismo
sovietico soltanto perché i compagni italiani erano fedeli alla
democrazia.
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Fonte: Enciclopedia delle donne
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Articolo tratto interamente da Enciclopedia delle donne