lunedì 11 marzo 2024

13 anni dal disastro di Fukushima



Articolo da Centro Studi Sereno Regis

Tra pochi giorni ricorrerà l’anniversario dell’incidente di Fukushima. Sono già passati 13 anni, e probabilmente non ci saranno grandi manifestazioni di ricordo… la tecnologia ha fatto grandi passi avanti, e la possibilità di sfruttare in piena sicurezza le potenzialità dell’energia nucleare è ormai alle porte. Questo – almeno – è il messaggio trasmesso dal recente film di Oliver Stone, Nuclear Now: “Ho imparato che l’energia nucleare non è un nemico dell’uomo, ma un alleato, e dovrebbe essere usata senza riserve”.

Nei grandi consessi internazionali si esprime fiducia:  “Lo scorso dicembre, il nucleare è stato menzionato per la prima volta in modo esplicito nel documento finale della Cop28 di Dubai, e un gruppo di 20 paesi ha firmato un patto per «triplicare le capacità energetiche nucleari nel mondo entro il 2050”. Poche settimane più tardi, l’Unione Europea ha inserito l’energia atomica tra le tecnologie considerate «strategiche» per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette entro il 2050. Non solo: la Commissione ha annunciato che proprio nei primi mesi del 2024 nascerà «un’alleanza industriale per i piccoli reattori modulari».

I due grandi incidenti nucleari, Chernobyl 1986 e Fukushima 2011, non compaiono più nelle cronache: sono diventati storia, e non si nominano nell’odierno dibattito.

Per quel che riguarda Chernobyl, dopo quasi 40 anni l’opinione pubblica è stata tranquillizzata, tanto che addirittura è possibile organizzare viaggi turistici di uno o più giorni, con bus privati e accompagnatori, per visitare la zona contaminata e le città vicine. Solo il conflitto tra Ucraina e Russia ha costretto gli operatori turistici a limitare questi viaggi. All’inizio della guerra qualche giornale ha riferito che alcuni soldati russi erano entrati nel territorio intorno alla centrale nucleare, sollevando polveri radioattive e rischiando la loro stessa salute. Poi i russi se ne sono andati, e la notizia è stata rapidamente dimenticata.

Quello di Chernobyl, dunque, viene considerato un incidente ormai chiuso. Lo stesso sta avvenendo per Fukushima: dopo il grande sforzo messo in atto dal Giappone per decontaminare le aree colpite dalle radiazioni, nel 2021 è stato possibile svolgere le Olimpiadi, con un anno di ritardo per il COVID. Ed è stato ormai ritirato il divieto di abitare in varie municipalità nei pressi della centrale nucleare. Per ora solo una parte della popolazione è rientrata, perché mancano i servizi di base e non è più possibile coltivare i campi, che ormai sono tappezzati di impianti fotovoltaici.  Il governo è impegnato a ridare fiducia alla gente, e punta a riprendere il programma di sviluppo basato sull’energia nucleare. Dopo anni di blocco, le centrali nucleari del Giappone stanno gradualmente riprendendo l’attività, avendo apportato le modifiche rese necessarie per garantire una maggiore sicurezza.

Non ‘eventi’, ma ‘processi’ in atto

Nei 35 anni dopo la nascita pubblica dell’era nucleare, annunciata dalla devastazione delle città di Hiroshima e Nagasaki nel 1945, gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica, la Gran Bretagna, la Francia e la Cina hanno condotto oltre 2.000 test nucleari, 543 dei quali in atmosfera. Più recentemente, incidenti ai reattori nucleari, compresi quelli di Chernobyl nel 1986 e Fukushima nel 2011, hanno contaminato vaste aree per un tempo di durata non prevedibile. Gli scienziati sono ormai consapevoli che anche i siti di produzione di attività nucleari, come Hanford negli Stati Uniti e Mayak in Russia, sono altamente contaminati e rimarranno pericolosi da migliaia di anni, così come il lungo elenco di siti utilizzati per immagazzinare scorie nucleari in tutto il mondo.

Lo sforzo per minimizzare l’impatto della tecnologia nucleare ha caratterizzato la storia di questa tecnologia fin dall’inizio.  Manipolare l’energia nucleare dà luogo non solo a ‘eventi’ (la costruzione di una bomba, o di un impianto per la produzione di energia, o un incidente) ma avvia ‘processi’, che si sviluppano poi indipendentemente dal controllo e dalla volontà umana, e trasformano in modo irreversibile il pianeta, le nostre vite, gli ecosistemi, su scale temporali che vanno dall’immediato all’inimmaginabile.

Vivere in un mondo nucleare

Nel 2022 è stato pubblicato un libro in cui diversi autori e autrici esplorano il tema del nucleare da numerosi punti di vista, favorendo l’acquisizione di una nuova e ampia consapevolezza delle conseguenze che sono derivate da questa nuova capacità umana, di penetrare all’interno della struttura degli atomi e di manipolarne le qualità. Il libro ha per titolo Living in a Nuclear World. From Fukushima to Hiroshima. È edito da  Bernadette Bensaude-Vincent, Soraya Boudia, Kyoko Sato per la Casa Editrice Routledge nel 2022. È possibile scaricare gratuitamente i singoli capitoli dal sito:  https://www.routledge.com/Living-in-a-Nuclear-World-From-Fukushima-to-Hiroshima/Bensaude-Vincent-Boudia-Sato/p/book/9781032130668

La vastità di aspetti che autori e autrici esplorano, le informazioni che forniscono, le implicazioni che mettono in evidenza per tutti/e noi, per la vita di tutti i giorni, per le dinamiche sociali e politiche che emergono ne fanno un testo di interessantissima lettura, ma difficile da riassumere. In attesa che qualche editore italiano meritoriamente ne curi la traduzione, mi limiterò a tradurne alcuni brani, sperando di invogliare molte persone ad approfondire la lettura.

Introduction: shaping the nuclear order Bernadette Bensaude-Vincent, Soraya Boudia, and Kyoko Sato.

La tecnologia nucleare è una tecnologia mondiale per eccellenza. Dopo i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki nel 1945, questo ramo dell’innovazione scientifica ha cambiato profondamente la storia, la geopolitica, il mondo naturale e la vita umana quotidiana. Il settore nucleare emergente è stato salutato come uno strumento di sicurezza nazionale, un focolaio di innovazione tecnologica e garante di energia abbondante. Ha anche minacciato la salute umana, avvelenato risorse idriche e alimentari e ha degradato il nostro ambiente. La contaminazione radioattiva da test atomici atmosferici è stata la prima questione ambientale riconosciuta su scala planetaria, fin dagli anni ’50. Nell’attuale dibattito sull’Antropocene, le tracce radioattive vengono addirittura considerate come indicatori per eccellenza dell’impatto dell’umanità sulla Terra.

Kate Brown.  The dystopic Pieta: Chernobyl survivors and neoliberalism’s lasting judgments (Pietà distopica. I sopravvissuti di Chernobyl e le sentenze finali del neoliberalismo).
(L’autrice è professoressa di Scienza, Tecnologia e Società al Massachusetts Institute of Technology. È autrice di Manual for Survival: A Chernobyl Guide to the Future, Dispatches from Dystopia, Plutopia e A Biography of No Place.)

Kate Brown, nel ricostruire gli eventi che seguirono al disastro di Chernobyl, osserva che nei primi mesi i media riferirono che le iniziative messe in atto dai medici e tecnici sovietici furono assolutamente inadeguate. La superiorità tecnologica e culturale dell’occidente, di fronte al degrado e all’umiliazione delle popolazioni locali, sollecitava i paesi ricchi a donare fondi ai bambini colpiti, bisognosi e indifesi. Con i leader sovietici riluttanti a condividere informazioni sull’incidente, gli scienziati americani utilizzarono il proprio sistema di monitoraggio per fornire una valutazione iniziale secondo cui Chernobyl aveva emesso più radioattività di centinaia di test atmosferici. Un paio di consulenti delle Nazioni Unite previde che 24mila persone sarebbero morte di cancro in seguito all’esposizione alle emissioni della centrale.

L’autrice racconta che ben presto il messaggio che arrivava da Chernobyl cambiò radicalmente. Non era vero che c’erano stati migliaia di morti, e che tanti bambini erano colpiti da malattie destinate a peggiorare. Rendendosi conto che queste informazioni stavano generando inquietudine nel pubblico occidentale, che cominciava a porsi domande sul grado di sicurezza nucleare dell’occidente, la narrazione dell’incidente fu rapidamente riformulata.

Poche settimane dopo l’incidente, il direttore dell’AIEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica) Hans Blix riferì al suo consiglio di amministrazione che se si fosse verificato un altro incidente, “il grande pubblico non crederebbe più all’idea che il rischio di un incidente grave sarebbe quasi trascurabile”. Riconoscendo la posta in gioco politica dopo questi terribili avvertimenti, i funzionari occidentali ridimensionarono radicalmente le loro previsioni. Ci sarebbero stati circa 5.100 tumori, affermò il direttore dell’UNSCEAR (United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation), e poi si corresse: troppo pochi, in realtà, per essere rilevabili.

Come mai si arrivò così velocemente a un ridimensionamento tanto vistoso delle previsioni di danno?  Kate Brown prende in esame sia i dati globali di radiazioni prodotte in conseguenza ai test nucleari eseguiti dalle potenze coinvolte, sia in particolare la situazione degli USA.



Autore: 
Elena Camino




Articolo tratto interamente da 
Centro Studi Sereno Regis 


2 commenti:

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