martedì 5 ottobre 2021

Lavoro: un decreto anti-delocalizzazione


Articolo da CRS - Centro per la Riforma dello Stato

La procedura di licenziamento collettivo avviata dalla GKN a Firenze nei confronti di tutti i 422 dipendenti ha riproposto al centro del dibattito giuridico e politico il tema dei limiti alla libertà di iniziativa economica e delle lacune presenti nell’ordinamento lavoristico, reduce da trent’anni di restaurazione ideologica e di destrutturazione del sistema di garanzie.

La questione non è nuova e la GKN non è, purtroppo, un caso isolato, come dimostra la cronaca di questi giorni. La casistica di aziende in buona salute acquistate da Fondi finanziari o da investitori improvvisati con l’unico obiettivo di chiudere e delocalizzare è ampia e dolorosa. Dolorosa per gli elevatissimi costi umani, ma anche scellerata sotto il profilo della continuità produttiva e dello sviluppo economico di interi territori.

Di cosa stiamo parlando dunque? Parliamo di un’azienda che non è in crisi, che non presenta passivi in bilancio, che è in buona salute, perfettamente in grado di stare sul mercato, con macchinari all’avanguardia rispetto ai quali sono stati effettuati, anche recentissimamente, consistenti investimenti, che decide, senza alcuna preventiva comunicazione e senza altro preavviso, di chiudere il sito produttivo, comunicando a tutti i dipendenti (peraltro via mail) l’avvio della procedura di licenziamento e il contestuale trasferimento della produzione altrove, in un Paese in cui il costo del lavoro è più basso e le garanzie per i diritti dei lavoratori sono ancora più flebili di quelle sopravvissute nel nostro Paese. Il tema è l’iniziativa economica privata; che è sì libera (art. 41 comma 1 della Costituzione), ma questa libertà dovrebbe incontrare dei limiti ove il suo esercizio contrasti con l’utilità sociale e “in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (art. 41 comma 2 della Costituzione). La Costituzione prevede dunque dei limiti alla libertà di impresa, ma essi, rispetto a ipotesi come quella in oggetto, non sono stati mai tradotti in un testo normativo che ne consenta la concreta attuazione. Se ne è accorto anche il Governo in carica che infatti all’indomani dell’avvio della procedura di licenziamento collettivo da parte della GKN, ha annunciato l’imminente varo di un decreto legge che affrontasse la questione. Intento senza dubbio lodevole e da salutare con favore, se non fosse che il testo della bozza di decreto reso pubblico è apparso immediatamente insufficiente e soprattutto inefficace in quanto del tutto privo di apparato sanzionatorio o comunque di un apparato sanzionatorio idoneo a disincentivare realmente questo tipo di operazioni, nella consapevolezza che una sanzione economica, per di più assai flebile, non è idonea a fermare un fondo internazionale dotato di una grande potenza finanziaria.

Il collettivo dei lavoratori della GKN, che in questo come in altri passaggi ha dimostrato una lucidità di analisi e una capacità di mobilitazione senza precedenti, in grado di rispolverare positivamente un protagonismo operaio che davamo per tramontato, appresa la notizia dell’esistenza di un decreto legge governativo ha lanciato un appello ai giuslavoristi impegnati sul fronte della difesa dei diritti dei lavoratori chiedendo sostegno nell’analizzare la proposta governativa e nell’approntare le più opportune modifiche che la rendessero realmente efficace. Hanno aderito dieci giuslavoristi tra avvocati, docenti universitari e ricercatori. Si è così avviato un inedito e virtuoso percorso di elaborazione collettiva avente per obiettivo l’elaborazione di emendamenti al testo governativo. Un percorso condiviso che ha avuto il suo culmine in un’affollata assemblea fuori dai cancelli della fabbrica lo scorso 26 agosto dal contenuto fortemente simbolico: giuristi, operai e operaie e un’intera comunità hanno elaborato le proposte di emendamento con cui confrontarsi col Governo. Un pezzo del popolo sovrano si è riappropriato della funzione legislativa elaborando non un generico appello o una piattaforma rivendicativa, ma un testo di legge possibile, concreto e di immediata attuazione.

Le proposte scaturite dall’assemblea sono state poi elaborate dal gruppo di giuslavoristi e sottoposte alla discussione e all’approvazione dell’assemblea dei lavoratori che le ha fatte proprie.

Esse si possono sintetizzare in otto punti:

  1. Un’azienda che intende procedere alla chiusura di un sito produttivo deve preventivamente informare l’autorità pubblica e le rappresentanze dei lavoratori.
  2. L’informazione fornita deve consentire di valutare lo stato economico finanziario dell’impresa al fine di poter elaborare soluzioni alternative alla chiusura.
  3. Le alternative devono essere contenute in un piano che garantisca la continuità produttiva e l’occupazione.
  4. Il piano deve essere approvato dall’Autorità pubblica e dalla maggioranza delle rappresentanze dei lavoratori.
  5. La mancata approvazione del piano o la sua mancata attuazione impediscono l’avvio delle procedure di licenziamento.
  6. Se il piano non viene approvato o non viene presentato l’azienda viene messa in vendita ed i lavoratori costituiti in cooperativa sono titolari di un diritto di prelazione nell’acquisto. Nell’ipotesi di carenza di acquirenti lo Stato può intervenire mediante la Cassa Depositi e prestiti.
  7. Il mancato rispetto delle procedure sopra descritte comporta l’illegittimità dei licenziamenti che potrà essere dichiarata tanto a seguito di ricorso individuale quanto a seguito di azione per condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori.
  8. Nelle more di approvazione del decreto le procedure di licenziamenti collettivo in essere sono sospese.

Gli otto punti sono stati poi tradotti in puntuali emendamenti al testo governativo. Come si può notare il testo non affronta direttamente il tema della delocalizzazione ma pone al centro la questione più generale della chiusura di un sito produttivo. E ciò al fine di non incorrere nella violazione del diritto comunitario che non consentirebbe a una normativa nazionale di porre limitazioni di questo tipo. Gli emendamenti proposti, al contrario, tengono conto dei principi espressi dalla giurisprudenza europea e in particolare del pronunciamento della Corte di Giustizia Europea del 2.12.2016 per garantire la compatibilità degli stessi con l’ordinamento sovranazionale. Né sono ipotizzabili questioni di costituzionalità, in quanto, al contrario esso è finalizzato proprio a dare attuazione a quel secondo comma dell’art. 41 della Cost. cui d’altra parte gli stessi esponenti del Governo hanno detto di ispirarsi con il decreto in elaborazione.

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Fonte: CRS - Centro per la Riforma dello Stato


Autore: Andrea Danilo Conte 

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Articolo tratto interamente da CRS - Centro per la Riforma dello Stato


4 commenti:

  1. Chi esternalizza cerca di eludere contrattazione collettiva e fisco. Un regolazione del fenomeno è urgente oltre che necessaria.

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  2. Precedente importante quello ottenuto in sede giudiziale ma per vincere la guerra ci vuole di più, anche se ho speranza perchè se i lavoratori inizieranno a prendere coscienza sempre di più ed accetteranno sempre di meno di essere ridotti in schiavitù alloravia

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