Articolo da Open Migration
"Il Consiglio europeo – si legge in un paragrafo delle conclusioni del vertice – invita la Commissione a proporre le modifiche necessarie al quadro giuridico dell'UE e misure concrete sostenute da un adeguato sostegno finanziario per garantire una risposta immediata e adeguata in linea con il diritto dell'UE e gli obblighi internazionali, compresi i diritti fondamentali". C'è chi ci vede un’apertura verso il finanziamento UE di muri e barriere, mentre per altri si tratta di un secco rifiuto. Quel che è certo è che la crisi ai confini orientali dell'Europa continua a fare vittime, ma potrebbe portare inaspettatamente ad accordarsi sul "Patto sulla migrazione e l’asilo". Ce ne parla da Bruxelles Paolo Riva.
L’ultima volta, 11 minuti. Questa, cinque ore circa. Al Consiglio Europeo di giugno quando, soprattutto in Italia, le attese erano molto elevate, i leader UE avevano dedicato solo undici minuti al tema delle migrazioni. La scorsa settimana, invece, quando si pensava che l’avrebbero fatta da padrone lo stato di diritto in Polonia e l’aumento dei prezzi dell’energia, il tema dei migranti si è preso uno spazio inaspettato e diversi analisti si sono sorpresi delle cinque ore circa di dibattito che i capi di stato e di governo continentali hanno dedicato a questo argomento.
La differenza è che, la scorsa estate, si era discusso solo della dimensione esterna della migrazione, mentre ora anche di quella interna. La prima ha un ampio consenso: il processo di esternalizzazione delle frontiere europee, che spesso porta a violenze e diritti negati, continua. La seconda, invece, come ha ammesso lo stesso presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, è una materia “delicata”, sulla quale ci sono “opinioni diverse”. In sintesi, il nodo centrale e ancora irrisolto rimane la riforma del regolamento di Dublino, e tutte le sue conseguenze. Infatti, nelle conclusioni del Consiglio vengono citati sia i “movimenti secondari”, cari ai paesi dell’Europa centro settentrionale come l’Olanda, sia il “giusto equilibrio tra responsabilità e solidarietà”, che è stato rivendicato come un successo da Mario Draghi.
La crisi in Afghanistan
Certo, ad essere cambiati rispetto al precedente vertice, sono anche molti elementi del contesto internazionale, l’Afghanistan e la Bielorussia su tutti. E, per quanto possa apparire sorprendente, la crisi che sembra più influenzare il dibattito europeo sulla migrazione, ad oggi, è la seconda. Ma andiamo con ordine.
In Afghanistan, l’Unione Europea sta agendo per evitare che nel paese avvenga una catastrofe umanitaria. La presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, a fine vertice, ha ricordato che l’Ue contribuirà con un pacchetto da un miliardo di euro di aiuti, per far si che “gli afghani sfollati siano sostenuti internamente o nei paesi vicini”. La crisi è grave, ma non ha mutato l’approccio Ue ai flussi migratori. L’obiettivo è evitare che troppi afghani lascino il paese nelle mani dei talebani e accogliere chi fugge negli stati confinanti, come fatto con la Turchia e i siriani.
Poi, a parole, l’Europa si è detta pronta anche a reinsediare le persone più fragili o a rischio. Quando, però, ad inizio ottobre, l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi, ha rivolto un appello agli stati membri affinché accolgano 42.500 afghani nell’arco dei prossimi cinque anni, dai 27 non è arrivata nessuna risposta precisa né concreta. E nelle conclusioni del Consiglio Europeo, l’Afghanistan non viene nemmeno menzionato. Anche se il paese è uno degli obiettivi degli otto piani d’azione cui stanno lavorando le istituzioni. Gli altri, secondo EuObserver, sono Bosnia Erzegovina, Iraq, Libia, Marocco, Tunisia, Niger e Nigeria.
Il confine bielorusso
La Bielorussia, invece, viene esplicitamente citata nelle conclusioni del vertice. I leader europei definiscono “un attacco ibrido alle frontiere Ue” i flussi migratori che il dittatore Lukashenko, da alcuni mesi, spinge verso Lituania, Lettonia e Polonia. A partire dall’estate, l’escalation al confine orientale è stata rapida: i numeri dei migranti sono aumentati in fretta e così anche l’intensità delle risposte degli stati europei coinvolti. Varsavia ha dichiarato lo stato d’emergenza al confine, impendendo l’accesso a media e Ong, è accusata di aver effettuato dei respingimenti e ha approvato una legge per legittimarli. Lituania e Lettonia seguono una linea simile.
I tre paesi, prima del Consiglio europeo della scorsa settimana, sono stati tra i promotori di una lettera, firmata da altri nove stati, per chiedere alla Commissione di finanziare la costruzione di muri lungo i confini UE con soldi europei. La Commissaria agli affari interni Ylva Johansson si era detta contraria a questo uso dei fondi comunitari, ma non aveva criticato la costruzione delle barriere, come invece aveva fatto il precedente esecutivo europeo guidato da Jean Claude Juncker. L’Ue, in pratica, “ha sdoganato i muri” e, infatti, sembra che il tema del finanziamento delle barriere sia stato uno di quelli più affrontati durante le cinque ore di dibattito.
Il risultato è un paragrafo delle conclusioni del Consiglio Europeo ancora vago, ma che potrebbe rivelarsi molto importante per il futuro. “Il Consiglio europeo – si legge – invita la Commissione a proporre le modifiche necessarie al quadro giuridico dell’UE e misure concrete sostenute da un adeguato sostegno finanziario per garantire una risposta immediata e adeguata in linea con il diritto dell’UE e gli obblighi internazionali, compresi i diritti fondamentali”.
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Fonte: Open Migration
Autore: Paolo Riva
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Articolo tratto interamente da Open Migration
Grazie per questo interessante articolo.Buona giornata!
RispondiEliminaAnche a te.
EliminaCavolo che casino.
RispondiEliminaPerò il flusso deve essere in qualche modo regolato. Forse i muri avranno questo tipo di approccio e non il voler escludere le persone, almeno spero che sia così.
Non è facile, speriamo che vada tuto per il meglio. Ciao Vincenzo e grazie del post interessante.
Ci vogliono ponti, non muri.
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