sabato 9 ottobre 2021

Lavoro: sempre meno sicurezza e diritti



Articolo da La Città Futura

Da gennaio ad agosto 2021, senza contare i morti per patologie contratte sul lavoro e gli incidenti non denunciati, si sono registrati 772 morti sul lavoro, una media di quasi quattro e mezzo per ogni giornata lavorativa. L’aumento, rispetto all’anno precedente, è del 13,4%.

È questo un altro risvolto dell’esito della lotta di classe in Italia, vinta a mani basse dal capitale, grazie anche al fatto che chi doveva attrezzare e mobilitare i lavoratori ha disertato.

Altro aspetto non secondario è rappresentato dalla liquidazione dei collettivi di fabbrica e delle commissioni interne al posto dei quali sono arrivate le Rsu che nel corso del tempo, in assenza di conflittualità e perché sovente controllati dai sindacati rappresentativi, si sono adeguate, ovviamente con alcune eccezioni, alla sottoscrizione di accordi a perdere sulla falsariga dei contratti nazionali senza potere di acquisto e di contrattazione.

Da parte dei datori di lavoro si pensa per lo più di ridurre i costi della sicurezza, come impone la logica del capitale, adempiendo a malapena agli obblighi burocratici o a redigere protocolli che all’atto pratico non producono un’effettiva riduzione dei rischi. Da qui i mancati interventi sugli impianti, le manomissioni dei dispositivi di sicurezza delle macchine, l’aumento dei ritmi produttivi, l’allungamento dell’orario di lavoro, con contratti collettivi nazionali di lavoro che prevedono l’obbligo dello straordinario e la detassazione di parte del salario accessorio. Ma perché si costruiscono macchine che consentono di disinnescare questi meccanismi e i poteri pubblici le omologano, sapendo bene che l’imprenditore (per natura avido) non esiterà a utilizzare questa possibilità?

Altro elemento rilevante è la precarizzazione del lavoro, favorita da una serie di leggi: Treu, Biagi, Jobs Act ecc. Ci sono studi che hanno evidenziato una chiara correlazione fra la precarietà e gli incidenti. I motivi sono intuibili: meno formazione e maggiore possibilità di ricatto (se non accetti di lavorare nella insicurezza c’è sempre il licenziamento, il demansionamento, gli orari scomodi imposti da qualche dirigente o capetto che sia).

La sconfitta nella lotta di classe ha impedito di porre argine alla dannata pulsione a incrementare i ritmi di lavoro, a esigere gli straordinari a non ridurre l’orario di lavoro che consentirebbe l’assunzione di nuovi lavoratori, a ridurre i ritmi oggi dettati da algoritmi padronali. Per non parlare della giungla delle piccole imprese dove in grande maggioranza si bypassano anche i più elementari dispositivi o dello sfruttamento bestiale per pochissimi euro al giorno dei lavoratori immigrati in nero.

Se dobbiamo ringraziare il governo Berlusconi per aver depenalizzato le responsabilità datoriali in materia, non possiamo sottacere che i successivi governi di centrosinistra, tecnici o di larghe intese che fossero, hanno lasciato le cose in questo stato.

Vediamo la faccenda dal punto di vista dei rapporti sindacali e degli istituti da essi derivanti.

Gli enti bilaterali sono degli organismi paritetici formati da associazioni datoriali e da sindacati firmatari di contratto e maggiormente rappresentativi.

Sono associazioni definite senza scopo di lucro, istituite e disciplinate dai contratti collettivi di lavoro, aventi il compito di garantire servizi e prestazioni che vanno dalla formazione all’assistenza sanitaria.

Nel corso degli anni questi enti hanno sottratto potere decisionale agli organismi eletti dai lavoratori e dalle lavoratrici (le Rsu) diventando nei fatti strumenti per promuovere sanità e previdenza integrativa anche attraverso lo scambio diseguale tra salario e servizi sui quali, peraltro, i datori pagano meno tasse.

Un’esperienza fallimentare dal punto di vista contrattuale e conflittuale, visto che sulla contrattazione di secondo livello hanno scaricato anche deroghe rispetto ai contratti nazionali e meccanismi iniqui e divisori come quello di attribuire a tale livello di contrattazione e in fase di confronto tra Rsu, organizzazioni sindacali ed enti pubblici, nella pubblica amministrazione, importi e criteri di alcuni istituti contrattuali. Così facendo i contratti nazionali vengono svuotati delle loro prerogative. Sul fondo della produttività collettiva grava l’aumento degli importi di alcuni istituti contrattuali senza incrementare tale fondo di un euro in più.

In questi ultimi giorni si va parlando di istituire delle commissioni miste sulla sicurezza. È emerso dai tavoli nazionali istituiti da governo, associazioni datoriali e i soliti sindacati per fermare l’aumento degli infortuni e delle morti sul lavoro. Se così sarà verrà inferto un ulteriore colpo allo Statuto dei lavoratori rafforzando solo il potere datoriale. Occorre invece potenziare il ruolo e il potere effettivo dei rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza ormai risucchiati negli ingranaggi della filiera della sicurezza aziendale, subalterni al datore di lavoro e relegati ad ambiti di mera consultazione.

Qualcuno continua a credere che per ridurre gli infortuni e le morti sul lavoro (ma ben poco parliamo di malattie professionali che risultano in costante crescita) sia sufficiente prevedere pene più severe ricorrendo anche alla sospensione dell’attività per l’azienda inadempiente. Ci poi sono altre proposte, come una sorta di patente a punti per le imprese, l’istituzione di un database comune tra enti, le fin troppo attese assunzioni di ispettori, ma si tratta solo di qualche centinaio, non quindi di una massa critica in grado di intaccarne l’enorme carenza. Tutte proposte molto utili ma che non fanno venir meno la necessità di restituire potere contrattuale, che oggi non hanno, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls).

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Articolo tratto interamente da La Città Futura 


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