martedì 3 dicembre 2019

40 anni di The Wall


Articolo da Cultweek

Alcuni muri da quel lontano ’79 sono caduti, altri sono stati eretti. Ripercorriamo la storia di quel mitico album e delle emozioni che ne hanno accompagnato il lungo successo.

Finalmente un anniversario che merita di essere citato: quaranta anni di The Wall dei Pink Floyd, che uscì ufficialmente il 30 novembre 1979. Merita perché oggi the Wall è un disco attualissimo, sia per i suoni che per il racconto, immaginato da Roger Waters e poi perfezionato dalla band.

Intanto, non è un disco che puoi ascoltare a volume basso. Io ho tirato fuori la mia cara vecchia copia in vinile e subito, dalle prima note di In the flesh?, ho tirato su il volume, alla faccia della domenica mattina e dei vicini.  The Wall entra nella vita di chi ascolta come quasi tutta l’opera omnia dei Pink Floyd, ma a differenza della magia di Dark side of the moon o della malinconia eterna di  Wish you were here, con questo doppio LP Waters e compagni ti dicono “svegliati, la vita che stai vivendo è l’unica che hai e se non reagisci al muro che ti sei/ti hanno costruito dentro e intorno, non ne uscirai”.

E’ un disco decisamente “politico”, e che nel 2019 proprio perché politico resta assolutamente attuale: il muro è diventato un simbolo di chi vuole dividere la gente nel nome della paura e dell’odio, tutti sentimenti presenti nella narrazione dei testi scritti da Roger Waters.

L’idea dell’album nasce in realtà da… un esaurimento nervoso proprio di Waters, che in un concerto in Canada nel 1977 sputa addosso alla prima fila del pubblico che sta seguendo il live della band in maniera poco concentrata e rumorosa. Waters si spaventa della sua reazione, ne parla con uno psichiatra e decide due cose: mettersi in cura e far diventare quella cura e quello spavento il punto di partenza dell’album successivo dei Pink Floyd.


Il disco è ancora oggi magnifico, pieno di intuizioni sonore e di emotività, ambiguità, paura e disequilibrio, un racconto unico senza pause (una vera e propria opera) che sceglie espressamente di dare voce al disordine emotivo del protagonista, chiamato per l’occasione Pink. La storia scritta da Waters in realtà è quasi autobiografica: è lui che resta orfano da piccolo per colpa della guerra (suo padre morì con l’esercito inglese ad Anzio nel 1944), è lui che soffre terribilmente per la disciplina e la cattiveria della scuola, condizioni che daranno vita ad Another brick in the Wall part 2.

È lui che viene drogato per salire su un palco, e da quella storia nasce il capolavoro assoluto del disco, Confortably Numb con l’assolo semplicemente divino di David Gilmour alla chitarra.


Non fu un disco registrato in relax dalla band, anzi: per dare un idea del clima, Waters licenziò Richard Wright – tastierista e membro fondatore – perché arrivò tardi in studio (era andato a vivere in Grecia). Non solo, proprio su Confortably Numb Gilmour e Waters arrivarono a litigare pesantemente, tanto da lavorare a due versioni diverse della canzone in due studi separati, con i musicisti che facevano la spola. Evidentemente la tensione vissuta nelle registrazioni divenne elemento di ulteriore energia creativa, dato che dalle due versioni è poi emerso quel capolavoro che conosciamo.

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Articolo tratto interamente da 
Cultweek



6 commenti:

  1. Capolavoro ♡.♡ come tutta la loro discografia. Li amo♡.♡

    Loro sono depressionisti come lo sono io. Depressionisti non significa depressione ma è una corrente artistica.

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  2. Un album che ha fatto storia, ricordo che su questo pezzo alcuni amici avevano realizzato uno spettacolo musicale per niente male. Buona giornata.
    sinforosa

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  3. Una pienezza di suono che ha dell'incredibile e sempre attualissimo.Ho sempre accostato alla musica classica. Come Bach, per dire, mica bruscolini

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