sabato 23 gennaio 2016

Quando il salario operaio diventa un costo marginale della produzione industriale di mirtilli “globali”


Articolo da Tlaxcala 

All’origine di quest’articolo, un fatto di cronaca. Sulla strada R-86, all’alba del 9 gennaio 2016, nella regione cilena dell’Araucania, precipita un minibus. L’autista e nove passeggeri, tra cui due minorenni di 17 anni, perdono la vita. Anche la sola sopravvissuta, gravemente ferita, è una minorenne di 17 anni. Le vittime sono raccoglitori di mirtilli. Nel Cile post-moderno e “gringoizzato” li chiamano “berries” (dall’inglese blueberry, mirtillo, o in francese canadese “bleuets”). Cercando delle foto per illustrare l’articolo del presidente della CGT cilena, il sindacato libertario, sull’incidente, scopro tutto un mondo. E quello che scopro, mi lascia esterrefatto. Ecco dunque la storia del mirtillo, un piccolo frutto dalle dimensioni mondiali, un emblema sinistro della “globalizzazione”. 


Da una decina d’anni, il mirtillo coltivato ha soppiantato il mirtillo selvatico, più piccolo, più gustoso, più raro, più difficile da raccogliere, e dunque più caro e “meno redditizio”. Il mirtillo selvatico è un ingrediente tradizionali dei paesi del nord, dal Canada alla Siberia, passando per l’Inghilterra e l’Olanda, e delle regioni montagnose temperate e fredde come quelle dei Pirenei o dei Vosgi. Gli inglesi, gli yankee e i canadesi hanno sempre un vasetto di marmellata o di gelatina in frigorifero o sul loro tavolo da colazione, e tutti gli sciatori di fondo svedesi nel loro zaino hanno un pacchetto di Blåbärssoppa, una ministra istantanea di mirtilli in polvere, per compensare il loro sforzo fisico, da far bollire sul fuoco da campo o sul forno a gas da campo una volta montata la tenda per la notte.
Il mirtillo sembra abbia delle virtù antiossidanti magiche per prevenire il cancro. A tal punto che i ricercatori britannici lavorano su un “pomodoro viola”, geneticamente modificato, che coltivano nelle serre del Canada, dove si fa meno attenzione alig OGM che nella Vecchia Europa. In questi pomodori hanno iniettato delle proteine che sono all’origine dei pigmenti blu-neri dei mirtilli, gli antociani. Degli studi condotti su dei ceppi di topi particolarmente propesi a sviluppare certi tipi di tumore hanno mostrato un’estensione della loro durata di vita del 30%, se si somministra loro del succo di questi pomodori. Ma non è sicuro che le virtù antiossidanti prestate a questi pigmenti perdurino nel tempo. Ricercatori dell’università di stato dell’Ohio nel 2013, nel contesto di una ricerca, hanno mostrato che gli antociani subivano un degrado alquanto rapido mediante la saliva.
 
Comunque il mirtillo e i suoi antociani sono diventati una fonte per fare affari e profitto in tutto il mondo ricco. L'agrobusiness si è dunque impadronito di questo prodotto. La produzione mondiale è almeno triplicata in dieci anni, passando, secondo le fonti, a un volume compreso fra 200 000 e 500 000 tonnellate. I principali produttori ed esportatori sono gli USA e il Cile, seguiti da Argentina, Peru, Uruguay, Sudafrica … e Cina. Ma tutto il mondo, dal Marocco alla Spagna, si sta mettendo in questo business. Il sito commerciale cinese Alibaba propone dei container di 10 tonnellate a dei prezzi che sfidano ogni concorrenza. Il grande vantaggio del Cile e degli altri paesi dell’emisfero sud è che possono produrre questi frutti fuori stagione, mentre in Europa e in America del Nord è inverno. E evidentemente anche i loro costi di produzione, a partire dai salari, sono molto “vantaggiosi”. Infine i mirtilli si conservano bene in un ambiente fresco, per 3-4 settimane, e sono anche adatti alla congelazione, alla liofilizzazione e aggiungono gusto e colore anche a yoghurt, tortine, muesli, e persino... doccia schiuma e shampoo, per non parlare di tutto un mucchio di
nutraceutici ed altre panacee universali. Che cosa si può pretendere di più?


Se comprate un cestino di mirtilli di 125 g. al supermercato vicino a casa vostra in Europa, probabilmente di una filiale di Carrefour, spenderete 5,99€, ovvero 47,92 € al chilo [ma vista la concorrenza feroce tra gli ipermercati, ne ho trovato uno per 2,99€ al SuperU di Sainte-Ménehould, ovvero per 23,92€ al chilo]. Carrefour ha acquistato i suoi stock di mirtilli dal grossista per circa 18 € al kg. Il prezzo di vendita all’ingrosso nel mercato di interesse nazionale a Rungis nel novembre del 2015 in media ammontava a 23 € al chilo. Se questi mirtilli provenissero dal Cile, i produttori cileni li avrebbero venduti ad un prezzo medio di 10 € al chilo. Su questi 10 €, il costo salariale per la raccolta sarebbe stato di 0,45 € al chilo. Il cliente di Carrefour dà dunque il 5% del prezzo che paga, ovvero 0,34 €, all’operaio cileno che ha raccolto questi mirtilli, “geneticamente ottimizzati”, per usare un termine elegante.

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Per concessione di Tlaxcala
Fonte: http://azls.blogspot.com/2016/01/global-bloody-blueberry-blues-ou-quand.html
Data dell'articolo originale: 20/01/2016
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=17093



Fonte: Tlaxcala 

Autore: 
Fausto Giudice - tradotto da Milena Rampoldi 

Licenza: Copyleft 


Articolo tratto interamente da Tlaxcala

 

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