giovedì 7 gennaio 2016
Kenya, rose che prosciugano laghi in nome dello ‘sviluppo’
Articolo da Voci Globali
[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall'articolo originale di Yash Tandon pubblicato su Pambazuka News]
Il lago Naivasha si trova a meno di un’ora di distanza da Nairobi, a un’altezza di 1.884 metri, in una zona geologica che presenta una combinazione di rocce vulcaniche e depositi sedimentari. È alimentato dalle acque perenni dei fiumi Malewa e Gilgil nella zona più alta della Rift Valley. Quando si arriva, il paesaggio sembra un paradiso, o forse meglio è dire, lo sembrava. La prima volta che ci sono andato da ragazzo era il 1957. Sono rimasto incantato dalla sua bellezza – rive rigogliose di acacia gialla, nell’acqua cristallina si potevano vedere diverse specie di pesci… e, sì, anche gli ippopotami. Guardando verso il cielo si ammiravano centinaia di uccelli, compreso il fenicottero dalle piume rosa, che emigrava dal lago Nakuru, e farfalle multicolori. Il lago era il mezzo di sostentamento per centinaia di pescatori e forniva l’acqua alla comunità di agricoltori.
Sono tornato al lago una cinquantina di anni dopo, nel 2009. Ero costernato, quasi disperato. Il lago e la zona circostante erano irriconoscibili. Rose e enormi serre ovunque – nessuna farfalla e nessun pesce. Un sacrificio in nome dello “sviluppo”. Il lago e la zona circostante erano state trasformate in un inferno. Certo, lo sviluppo è importante, ma a quale costo?
Il modello di crescita del “libero commercio”
Questo modello di crescita si basa sull’ipotesi che “il mercato” promosso dal “libero commercio” sia il mezzo più efficiente per distribuire le risorse del mondo. Ogni nazione deve cercare di specializzarsi nella produzione di materie prime e servizi in cui è maggiormente competitiva.
Ma il “libero commercio” è un’invenzione. Non è mai esistito nemmeno durante il tanto lodato periodo commerciale inglese del XIX secolo. La nazione che per prima ha sfidato questa invenzione è stata l’America, subito dopo l’indipendenza dall’Inghilterra nel 1776. “Non vogliamo coltivare cotone e tabacco per sempre, e importare i vostri prodotti“, hanno detto gli Americani agli Inglesi, “vogliamo diventare anche noi una nazione industrializzata“. Tra il 1820 e il 1870 (in 50 anni), gli Stati Uniti hanno eretto barriere contro le importazioni dall’Inghilterra e hanno iniziato la propria rivoluzione industriale.
L’Africa è indipendente da quasi 60 anni, e continua ad esportare caffè, cotone e fiori importando praticamente tutto il resto – compresi i prodotti agricoli. Nei grandi negozi di Nairobi si possono comprare cosce di pollo surgelate e fagioli in scatola provenienti dall’Europa. Questi prodotti ampiamente sovvenzionati sono in concorrenza con i produttori keniani a cui sono negate le sovvenzioni dalle norme dell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio, NdT). In pratica si tratta di una guerra asimmetrica tra le grandi aziende europee e i piccoli agricoltori keniani, ed è lo stesso per il resto dell’Africa. Tutto questo è immorale. E secondo le convenzioni delle Nazioni Unite, è anche illegale.
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Fonte: Voci Globali
Autore: Yash Tandon pubblicato su Pambazuka News - traduzione di Benedetta Monti
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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale.
Articolo tratto interamente da Voci Globali
Photo credit McKay Savage from London, UK [CC BY 2.0], via Wikimedia Commons
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