Articolo da GlobalProject
Nel primo pomeriggio di sabato 6 settembre, un fiume di oltre cinquantamila persone ha invaso le strade di Milano, compatto dietro lo striscione “Giù le mani dalla città”.
Al centro della protesta, lo sgombero del Leoncavallo, storico centro sociale di via Watteau, avvenuto all’alba di giovedì 21 agosto. Poche ore dopo lo sgombero, un’assemblea cittadina aveva già rilanciato la mobilitazione, raccogliendo in breve un’adesione vasta e diffusa, capace di travalicare i confini milanesi e risuonare a livello nazionale.
Sono diversi i motivi che hanno richiamato in piazza così tante persone. Da un lato, la storia di uno spazio che, pur nelle sue metamorfosi, è rimasto per quasi cinquanta anni un simbolo di un modo di vivere alternativo alla Milano degli affari, del cemento e dei “padroni”. Dall’altro, la percezione che lo sgombero faccia parte di una strategia più ampia, con il governo che continua a mettere nel mirino i suoi nemici, per tentare di annientarli o indebolirli. D’altronde non è proprio la logica del decreto sicurezza quella di istituzionalizzare e normalizzare la vendetta di Stato? E per il governo i centri sociali rappresentano in qualche modo il “nemico dei nemici”, perché non solo producono dissenso, ma lo organizzano.
Nel corso della manifestazione non sono mancate contestazioni rivolte anche all’amministrazione comunale, in particolare contro il cosiddetto “Modello Milano” della giunta Sala. Poche ore prima del corteo, con lo slogan “contro la città dei padroni”, un centinaio di militanti del CSA Lambretta aveva messo in atto un blitz in via Watteau. Nello stesso spirito, lo spezzone degli spazi di movimento, riunitosi alle 12 in piazza Duca d’Aosta, ha occupato il cantiere del Pirellino, divenuto simbolo delle contraddizioni urbanistiche e della speculazione edilizia che soffocano la città.
Alle 14 il corteo si è radunato a Porta Venezia, dove lo spezzone di movimento si è unito a migliaia di persone arrivate da tutta Italia. La partecipazione è stata ampia e trasversale: oltre alla società civile, hanno sfilato spazi sociali milanesi e nazionali, circoli, partiti e sindacati, dando vita a una manifestazione con una composizione molto ampia.
Costante della manifestazione, accanto alla condanna dello sgombero, è stata l’affermazione che quell’evento non rappresenti un freno, ma al contrario una ragione in più per rilanciare le lotte. Alle promesse di perseveranza si sono intrecciate nuove contestazioni contro i responsabili dello sgombero: un gruppo dello spezzone di movimento, ha sanzionato la prefettura in corso Monforte per denunciare le responsabilità del governo, mentre in piazza Cinque Giornate è stato calato uno striscione che recitava “Giù le mani dagli spazi sociali”.
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