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giovedì 10 luglio 2025

Seveso, un disastro mai dimenticato



Articolo da LifeGate

Nel luglio 1976 Seveso fu epicentro del peggior disastro ambientale mai avvenuto in Italia. Oggi un’autostrada fa riemergere ricordi e paure

È rimasto ormai solo un muro a ricordare uno dei più gravi disastri ambientali provocati dall’uomo. Il peggiore in Italia. Quel muro – fatto di mattoni rossastri, a vista – si trova nella via che, ancora oggi, resta intitolata all’azienda che provocò la catastrofe: via Icmesa. Siamo a Meda, nella provincia di Monza-Brianza, in Lombardia. Una targa con un breve testo e due fotografie campeggia sulla stradina che termina sul cancello che un tempo fungeva da ingresso dell’industria chimica. Quell’industria sorgeva al confine con un altro comune, passato alla storia per aver subito le peggiori conseguenze dell’incidente: Seveso, 16mila anime all’epoca dei fatti.

Il suo nome, 48 anni fa, fece il giro del mondo, dopo che una nube tossica si sprigionò da un reattore chimico, avvelenando quarantamila persone. Oltre a quelli di Seveso e Meda, ad essere colpiti furono anche i comuni di Cesano Maderno, Bovisio, Varedo e Desio. Eppure oggi sembra che sia tutto sopito, tutto dimenticato. Quasi a voler cancellare una macchia, un’onta per il territorio.

“È scattata la logica delle rimozione, non se ne parla più. Le istituzioni ci hanno regalato il bosco delle Querce dove ricordare tutti gli anni questa tragedia, ma non se ne parla più”, spiega Davide Biggi, che in quel luglio del 1976 aveva soltanto dodici anni. “Da quando sono partiti i lavori per costruire la Pedemontana Lombarda, però, la gente si è rianimata, nessuno di noi vuole respirare di nuovo la diossina”, aggiunge. È una nuova strada, quindi, a riaccendere oggi la paura per una sostanza tossica che piombò nelle case mentre si era a tavola per un pranzo estivo.

Disastro di Seveso: l’esplosione di un reattore chimico e il coraggio di un uomo

È mezzogiorno di sabato 10 luglio quando nell’azienda Icmesa di Meda cede un disco di sicurezza del reattore A 101. L’ultimo anello di una catena di inadempienze, superficialità e permessi concessi troppo facilmente a un’azienda che produceva tra gli altri persino il defoliante utilizzato dagli Stati Uniti durante la guerra nel Vietnam. Secondo la ricostruzione più accreditata, il reattore rimase privo del sistema di raffreddamento e le molecole di triclorofenolo presenti all’interno si unirono tra loro. Formando una devastante nube piena di tetraclorodibenzoparadiossina (Tcdd). Più nota con il nome comune di diossina: una sostanza estremamente tossica e cancerogena.

All’interno dello stabilimento a quell’ora del sabato c’erano pochi operai, tutti concentrati in un altro settore. Uno di loro, però, fortunatamente interviene: si chiamava Carlo Galante, capo del reparto dove si producevano i diserbanti. Stava pranzando con la famiglia a pochi metri dalla fabbrica quando sentì uno strano rumore. Guardando fuori dalla finestra vide del fumo colorato uscire proprio dal suo posto di lavoro. Senza pensare troppo alle conseguenze possibili, Galante esce di casa e si avvicina al reattore per far scattare manualmente il sistema di raffreddamento, non intervenuto in modo automatico a causa di un’avaria.

Quella manovra riuscì ad evitare ulteriori fuoriuscite di diossina, e per questo l’operaio fu premiato con una medaglia d’argento al merito civile, vent’anni dopo la sua morte. Ma la catastrofe era ormai inevitabile. Il vento stava già spingendo quella prima nube verso sud est, investendo decine di case, orti e strade. In modo silenzioso, senza nessun allarme. Perché la stessa Icmesa tentò di nascondere per giorni l’incidente. Così, alla popolazione non arrivarono allarmi immediati.

La prontezza del capo reparto non fu infatti seguita dalla società proprietaria dello stabilimento Icmesa, la svizzera Givaudan, a sua volta controllata da La Roche. Solo il giorno dopo, domenica 11 luglio, due tecnici della società avvisano il sindaco di Seveso, Francesco Rocca, dell’accaduto. Ma non era ancora possibile comprendere l’effettivo danno ambientale: si ipotizza che la nube fuoriuscita potesse contenere diossina ma si attendeva una conferma dal laboratorio della società, a Lugano. Il sindaco Rocca decise però di chiamare immediatamente il suo omologo di Meda, per capire cosa fare.

Già quella domenica si notarono infatti alberi rinsecchiti improvvisamente e i primi uccelli selvatici morti. Nei giorni seguenti iniziarono i primi accessi ai pronto soccorso dei comuni di Meda e Seveso per dermatiti e problemi agli occhi. “I miei genitori quel sabato erano in giardino, faceva caldo, e sentirono subito un odore strano e un fastidio alla pelle. Mio padre nei giorni seguenti sviluppò una forte dermatite alle braccia e i medici che lo curarono gli spiegarono cos’era successo. Lui e mia madre sono morti di tumori ematologici alcuni anni fa, è logico pensare che sia stata quella maledetta nube”, ricorda Enrica, che all’epoca si salvò perché era lontana, in vacanza.

Solo cinque giorni dopo l’incidente, il 15 luglio, l’ufficiale sanitario del comune di Seveso, il dottor Uberti, raccomandò alle autorità di prendere “immediati provvedimenti per tutelare la salute della popolazione”. I sindaci dei due comuni avrebbero dovuto “delimitare la zona con paletti recanti come testo la seguente dicitura: ‘Comuni di Seveso e Meda. Attenzione. Zona infestata da sostanze tossiche’. Imporre il divieto di toccare o ingerire prodotti ortofrutticoli, evitando contatti con vegetazione, terra ed erbe in genere”.

Fu a quel punto che gli abitanti della zona vennero avvisati, attraverso manifesti esposti nelle vie, della necessità di non toccare ortaggi, né terra, né erba, né animali della zona probabilmente contaminata e di mantenere la più scrupolosa igiene delle mani e dei vestiti, usando l’acqua come migliore detergente.

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Fonte: 
LifeGate

Autore: 
Laura Fazzini

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Articolo tratto interamente da 
LifeGate


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