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mercoledì 9 luglio 2025

Il declino economico dell’Italia



Articolo da Collettivo Le Gauche

Verso la piena sottoccupazione. Come cambia il lavoro in Italia è un libro collettivo composto da molti saggi che analizzano le trasformazioni del mercato del lavoro nel nostro paese. L’introduzione è curata da Raffaele Brancati e Carlo Carboni i quali introducono il filo conduttore del testo. Lo studio analitico del mercato del lavoro italiano nel primo venticinquennio del XXI secolo smaschera il “fascino ingannevole” di indicatori positivi come la crescita occupazionale e la riduzione del tasso di disoccupazione, rivelando invece l’inarrestabile avanzata della sottoccupazione, un fenomeno multiforme che rappresenta la vera tendenza strutturale del periodo. I dati Eurostat ci dicono che con 5,4 milioni di lavoratori sottoutilizzati (labour market slack), l’Italia detiene il primato negativo in Europa dopo la Spagna mentre le stime Istat sui lavoratori vulnerabili e part-time involontari indicano che circa il 25% degli occupati rientra in questa categoria di sottoccupazione “in senso lato”. Questo esercito silenzioso di lavoratori sottoutilizzati spiega perché, nonostante l’aumento del numero di persone occupate, si registri una preoccupante stagnazione dei redditi da lavoro. Se i salari orari mostrano una tenuta relativa (pur restando inferiori alla media europea), è il crollo dell’intensità lavorativa, con una media di giornate lavorate annue in calo, a determinare un monte salari complessivamente insufficiente. La radice del problema va cercata nella peculiare struttura del mercato del lavoro italiano, storicamente segmentato tra un nucleo centrale di lavoratori garantiti e una vasta periferia di sottoccupati, una dicotomia che si è radicalizzata con la transizione a un’economia sempre più terziarizzata ma poco qualificata. La moltiplicazione dei lavori, anziché tradursi in percorsi professionali avanzati come avvenuto in alcuni segmenti del manifatturiero, ha prodotto soprattutto impieghi a basso valore aggiunto nel terziario, dove la flessibilità si è trasformata in precarietà cronica, dando vita al fenomeno dei working poors (lavoratori poveri) praticamente assente fino agli anni ‘90. Il caso del part-time involontario, in costante crescita e diventato uno dei principali indicatori di questa vulnerabilità diffusa, dimostra come la riduzione d’orario sia spesso imposta dalle circostanze più che frutto di scelta. Le vittime principali di questa deriva sono giovani e donne, nonostante il loro livello di istruzione sia superiore alla media nazionale (anche se ancora insufficiente rispetto ai benchmark europei). Le donne, in particolare, rappresentano un paradosso. La loro maggiore partecipazione al mercato del lavoro segna un progresso sociale ma essa si concentra in forme di occupazione marginali, con un tasso di part-time involontario che supera di gran lunga quello degli altri paesi europei e salari mediamente più bassi non solo per effetto del gender gap ma in valore assoluto. I giovani, pur più istruiti delle generazioni precedenti, vengono relegati in percorsi professionali sottodimensionati rispetto alle loro competenze, in quella che Massimo Paci definirebbe una storica difficoltà di incontro tra domanda e offerta di lavoro, aggravata da un modello produttivo basato prevalentemente su microimprese a bassa innovazione. Il confronto internazionale offre ulteriori spunti di riflessione. La globalizzazione e l’avanzamento tecnologico hanno aumentato ovunque disuguaglianze e sottoccupazione ma in Italia queste dinamiche assumono tratti peculiari. Le differenze retributive interne alle stesse imprese sono più marcate che altrove e soprattutto il legame tra produttività e salari appare più debole: il premio salariale legato a maggiori livelli di produttività è rimasto sostanzialmente invariato negli ultimi anni, rappresentando solo una quota minoritaria della crescita retributiva. La globalizzazione a trazione tecnologica e finanziaria ha creato un divario crescente tra lavori iper-remunerati in settori high-tech e lavori poveri a bassa qualificazione ma nel caso italiano si aggiunge una specifica difficoltà a tradurre i guadagni di produttività in miglioramenti salariali diffusi. Sullo sfondo di queste tendenze ci sono tre grandi trasformazioni sistemiche che ridisegnano il panorama del lavoro: la terziarizzazione “minuta” e frammentata (con la moltiplicazione di micro-attività nei servizi più che la creazione di nuovi settori strutturati), il declino demografico che vedrà la popolazione in età lavorativa ridursi di 5,5 milioni di unità entro il 2040 (una vera e propria bomba sociale innescata) e il ritardo tecnologico del sistema produttivo italiano, costantemente in coda alle classifiche europee per innovazione e digitalizzazione. A complicare il quadro un cambiamento culturale profondo che vede il lavoro perdere centralità tra i valori individuali, soprattutto tra le giovani generazioni, con fenomeni come il quiet quitting (disimpegno emotivo) a segnalare una crescente divaricazione tra aspettative personali e realtà occupazionali. In questo contesto il Mezzogiorno rappresenta l’epicentro delle criticità, con un mercato del lavoro bloccato da carenze formative croniche, mismatch occupazionali e una fuga costante di giovani qualificati verso il Nord Italia o l’estero. Le politiche pubbliche finora adottate, dal Reddito di Cittadinanza (poi abolito nel 2023 nonostante l’Istat stimi in 5,6 milioni gli italiani in povertà) alle misure attive del lavoro si sono rivelate largamente insufficienti, spesso prive di un disegno strategico organico e vittime di una gestione burocratica inefficace. La possibile via d’uscita, secondo gli autori, passa attraverso un mix di interventi che coniughino politiche industriali per “buoni lavori” (occupazioni ben retribuite, stabili e ad alta produttività) con un potenziamento del cosiddetto “lavoro di cittadinanza” nei settori della cura, dell’ambiente e dei beni comuni, da sviluppare attraverso partenariati pubblico-privato che superino la logica assistenziale. Fondamentale sarà anche colmare il gap tecnologico, potenziando la formazione tecnica superiore (come gli ITS) e creando migliori collegamenti tra sistema educativo e mondo produttivo. Senza dimenticare che, in un paese che invecchia rapidamente, la questione demografica richiederà scelte coraggiose sia sul fronte delle politiche familiari che della gestione dei flussi migratori, l’unico fattore che potrebbe compensare, almeno in parte, il crollo della popolazione attiva nei prossimi decenni. 

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Fonte: Collettivo Le Gauche


Autore: Collettivo Le Gauche

Licenza: This work is licensed under Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International

Articolo tratto interamente da Collettivo Le Gauche


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