martedì 23 febbraio 2021

Modello Big Pharma, quando gli interessi economici prevalgono sulla salute


Articolo da Valori

Il modello di business di Big Pharma, basato sulla massimizzazione dei profitti,  sulla ricerca biologica delegata alle start-up, sul privilegiare le cure rispetto ai vaccini, rappresenta da sempre un problema. Sociale, sanitario, economico ed etico. Ma, in una fase come quella attuale, assume i contorni della potenziale tragedia. Le aziende, non è una novità, preferiscono lavorare sulle terapie. Meglio ancora su terapie per malattie croniche. Se si avessero dubbi, a riguardo, basta riavvolgere il nastro della vicenda dell’AIDS. 

Per Big Pharma meglio evitare l’arrivo dei vaccini: il caso dell’HIV

Per tale malattia gli investimenti sulla ricerca per un vaccino sono sempre stati minimi. Tanto che l’UNAIDS, il Programma delle Nazioni Unite sull’HIV, qualche anno fa in un comunicato durissimo mise Big Pharma di fronte alle proprie responsabilità, accusandola di non investire nella ricerca sul vaccino per un puro calcolo d’interesse. Le persone infettate dal virus sarebbero state costrette ad assumere per tutta la vita le terapie prodotte dalle stesse aziende multinazionali. Così, la ricerca sul vaccino ha potuto contare solo sul (poco) denaro proveniente da Stati o fondazioni. La ragione è semplice: per Big Pharma – e per l’intero indotto sanitario – evitare l’arrivo dei vaccini significa garantirsi entrate programmabili, su parecchi anni, da mettere a bilancio. Delimitando al contempo la popolazione di riferimento: quella dei Paesi ricchi, gli unici in grado di pagare quelle cure. 

Creare un’azienda farmaceutica pubblica…

Allo stesso modo, alcuni anni fa le istituzioni europee avevano chiesto di potenziare la ricerca per fronteggiare potenziali pandemie. Senza ricevere però alcuna risposta dalle multinazionali. La domanda che ne discende è perciò: quali strumenti hanno, oggi, gli Stati per orientare la ricerca e i settori su cui essa si concentra? Ebbene, la realtà è che non ne hanno assolutamente nessuno. È per questo che occorre porsi l’obiettivo di cambiare paradigma. E l’unico modo per farlo è creare un’azienda farmaceutica pubblica su scala europea. 

… per orientare la ricerca verso la tutela della salute (di tutti)

Un simile organismo garantirebbe brevetti pubblici per tutti. Ma, soprattutto, orienterebbe la ricerca verso la tutela della salute nel suo complesso. Privilegiando la prevenzione (inclusi i vaccini) rispetto alle cure (i farmaci). Senza dimenticare che potrebbe lavorare anche su patologie che colpiscono un numero limitato di pazienti (cioè con un mercato potenziale insufficiente agli occhi delle industrie private) o che si concentrano in fasce di popolazione povere (non in grado perciò di pagare).

In questo senso, la pandemia attuale ha messo in discussione il paradigma della medicina degli ultimi 50 anni, secondo il quale l’aumento dell’aspettativa di vita dipende quasi esclusivamente dallo sviluppo di nuovi medicinali, mentre la prevenzione è ridotta ai minimi termini e gli equilibri tra la natura e gli esseri viventi sono ignorati. In futuro dovremo affrontare sempre più agenti infettivi figli di un sistema di sviluppo insostenibile e che arrivano a noi tramite zoonosi. Serve perciò soprattutto una medicina attenta alla salute collettiva e preventiva, più che orientata quasi unicamente alla cura.

Pubblico e privato: nella medicina due approcci opposti

Il problema è che la logica di Big Pharma va nella direzione opposta. D’altra parte, quando le aziende private intervengono nella salute, hanno successo se crescono i malati e le malattie. Quando è il pubblico ad intervenire, ha successo se crescono la salute e il benessere. Perché diminuiscono cure, ricoveri, consulti medici. E le casse pubbliche, di conseguenza, risparmiano. Sono due approcci inconciliabili, diametralmente opposti l’uno all’altro. 

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Fonte: Valori


Autore: 
Vittorio Agnoletto

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Articolo tratto interamente da 
Valori


6 commenti:

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