Comunicato da NonUnaDiMeno
Il prossimo 23 novembre la marea
femminista e transfemminista tornerà a inondare le strade di Roma contro
la violenza che segna le nostre vite e diventa sistema!
In tutto il mondo le donne sono in rivolta contro la violenza patriarcale,
razzista, istituzionale, ambientale ed economica. In Sud America,
in Medio Oriente, in Asia, in Africa, in Europa le donne e le persone
lgbtqipa+ stanno affermando chiaramente che nessun processo
di democratizzazione e liberazione è possibile senza trasformazione
radicale dell’esistente. In Cile, in Messico, in Ecuador, in Argentina,
in Brasile, le donne lottano contro la violenza patriarcale e economica
che attacca i corpi e l’ambiente.
Le donne curde stanno difendendo e
portando avanti un processo rivoluzionario femminista, ecologista e
democratico e combattono per la liberazione da ogni fondamentalismo e
contro l’autoritarismo turco. Il 23 novembre ci uniremo a queste
sollevazioni globali, dalle quali traiamo forza e convinzione!
Abbiamo disvelato la natura strutturale e
politica della violenza maschile, che agisce sulle donne e sulle
soggettività lgbtqipa+. A quattro anni dall’esplosione del movimento
femminista è il momento di affermare, a partire dalle lotte, dalle
pratiche, dalla solidarietà femminista, rivendicazioni chiare e non
negoziabili su cui vogliamo risposte.
Ogni 72 ore in Italia una
donna viene uccisa da una persona di sua conoscenza, solitamente il suo
partner, e continuano le violenze omolesbotransfobiche. Sono i giornali a
valutare quale dei tanti femminicidi debba essere raccontato e come.
Quello del “gigante buono” – come nel caso di Elisa Pomarelli – o
quello di chi “se l’è cercata”. Quello della vittima dell’invasore nero o
del raptus di gelosia, nel caso si tratti di un marito italiano.
Noi invece sappiamo che la violenza può
colpire chiunque di noi e che non ha passaporto, colore né classe
sociale, ma spesso ha le chiavi di casa. È la storia di tante donne e di
persone non conformi al modello patriarcale che ogni giorno si
ribellano a molestie, stalking, violenza domestica, psicologica,
sessuale ma trovano ulteriore violenza nei tribunali.
È tempo di dire basta alla Giustizia Patriarcale: se in Parlamento la Pas (sindrome
da alienazione parentale) finisce nel cassetto insieme al Ddl Pillon,
nelle cause di divorzio è sempre più frequente il suo utilizzo per
giustificare l’allontanamento dei minori dalle madri, diventando così
uno strumento punitivo per le donne che si separano e un deterrente alla
denuncia per le donne che subiscono violenza domestica. Vogliamo la Pas
fuori dai tribunali!
Il Codice Rosso ha già
fallito confermandosi una mera operazione propagandistica: è necessario
riconoscere le donne come soggetto attivo e intervenire efficacemente
prima e non dopo che la violenza o il femminicidio si compiono.
Per questo il lavoro dei centri
antiviolenza femministi va riconosciuto, garantito e valorizzato perché
siamo stanche di finire sul banco degli imputati o ricordate in maniera
strumentale in qualche pessimo articolo di giornale. Gli spazi
femministi sono invece sotto attacco in tutto il Paese e le risorse per
le realtà che sostengono le donne che resistono alla violenza sono
sempre più vincolate e carenti. Difendiamo e moltiplichiamo gli spazi femministi e transfemmninisti, come Lucha y Siesta, le case delle donne e tutti gli spazi di autodeterminazione sotto minaccia di sgombero!
L’indipendenza economica è la condizione fondamentale per affrancarsi dalla violenza,
per essere libere di scegliere: le molestie e gli abusi si riproducono
in condizioni di minaccia e di ricatto, nella vergogna e nella
solitudine, ma ancora permane il limite di un anno di tempo entro cui
denunciare. Questo limite è un’arma in mano a molestatori e stupratori.
Vogliamo essere liber* dalla
povertà, dallo sfruttamento, dal rischio di licenziamento o del mancato
rinnovo di contratto e dei documenti di soggiorno. In un paese in cui
solo una donna su due lavora, la maternità può costarti il posto di
lavoro e la disparità salariale è un dato di fatto, non serve la
propaganda, ci vogliono atti concreti: vogliamo un salario minimo
europeo, un reddito di autodeterminazione svincolato dalla famiglia e
dai documenti di soggiorno, congedi di maternità, paternità e parentali
di uguale durata e retribuiti per entrambi i genitori.
Se scegliere di fare un figlio non è
semplice, non lo è nemmeno non farlo: obiezione di coscienza dilagante e
smantellamento del welfare ostacolano la nostra
autodeterminazione psicologica, sessuale e riproduttiva. Riprendiamoci i consultori pubblici e rompiamo il monopolio degli obiettori sulle
nostre scelte: vogliamo educazione sessuale per conoscere, educazione
al rispetto di generi e orientamenti sessuali, spazi per condividere,
contraccezione gratuita per proteggerci, la pillola abortiva senza
ricovero e fino a 12 settimane per decidere. Vogliamo servizi
socio-sanitari pubblici e laici che garantiscano la salute e la libera
scelta di tutte e tutti.
L’Italia è il paese in Europa con il più
alto numero di uccisioni di persone trans ‒ spesso donne trans, migranti
e sex workers. La presa di parola delle persone trans
e lgbtqiap+ contro la violenza di genere e dei generi è un fiume che
ingrossa e rafforza la marea femminista e transfemminista che si
riverserà a Roma il 22 novembre con la Trans Freedom March: l’autodeterminazione non ha confini!
La guerra contro le persone migranti sta
raggiungendo intensità senza precedenti, non soltanto nel Mediterraneo, e
colpisce soprattutto le donne facendo dello stupro un’arma di
soggezione. Vogliamo fermare la violenza degli accordi che
esternalizzano le frontiere, disseminando Europa, Mediterraneo e Nord
Africa di lager del XXI secolo. Vogliamo essere liber* di muoverci attraverso i confini e
di restare se lo vogliamo. vogliamo l’abrogazione dei decreti sicurezza
che criminalizzano la migrazione, la solidarietà e il dissenso, di
tutte le leggi che legano il permesso di soggiorno al lavoro o alla
famiglia e di quelle che alimentano il razzismo negando la cittadinanza a
chi è nat* o cresciut* in Italia. Un permesso di
soggiorno europeo senza condizioni, asilo e cittadinanza sono i soli
strumenti possibili contro violenza e sfruttamento. Reclamiamo l’accesso
al welfare per tutt* contro la distruzione dello Stato sociale che anno
dopo anno taglia risorse mentre aumenta la spesa militare.
La lotta femminista e transfemminista crea
resistenza e alternativa nella costruzione di legami e intrecci
attraverso la riappropriazione dello sciopero come pratica di conflitto come processo di trasformazione dell’esistente che opponga la cura, l’autodeterminazione e l’equità sociale allo sfruttamento dei corpi e dell’ambiente.
Scendiamo in piazza il 23 Novembre anche
per tutte quelle donne e quelle persone che vedono limitata la propria
libertà. Le donne e le persone trans detenute, le persone sottoposte a
misure restrittive o confinate all’interno di strutture psichiatriche
che le sottopongono a misure di contenimento inappropriate e violente.
Il 23 Novembre saremo a Roma, saremo insieme, porteremo in piazza i nostri corpi e le nostre relazioni,
quelle che costruiscono la discontinuità che nessun governo può
garantirci, quelle che uniscono le vite di milioni di donne e
soggettività lgbtqiap+ in tutto il mondo. Il 24 novembre ci incontreremo in assemblea nazionale verso lo sciopero femminista e transfemminista dell’8 marzo. Di fronte alla violenza di questa società non facciamo un passo indietro: noi siamo rivolta!
CONTATTI
Non Una Di Meno
Caro Vincenzo, questo è giusto, le dimostrazioni dovrebbero aprire gli occhi a tutti,ma io sono del parere che coloro che lo fanno, continueranno...
RispondiEliminaCiao e buona giornata con un abbraccio e un sorriso:-)
Tomaso
Buongiorno!
Eliminadavvero importante
RispondiEliminaSicuramente.
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