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giovedì 4 settembre 2025

Non solo offline: la violenza di genere corre anche sul web



Articolo da L'Ordine Nuovo

Quello della violenza contro le donne è un tema che spesso ricorre nel dibattito politico a causa di tragici e, purtroppo, frequenti episodi che riempiono le pagine di cronaca. In molti casi le forze politiche borghesi si approcciano all’argomento sostenendo la necessità di misure repressive più efficaci, aumentando la presenza della polizia nelle strade delle nostre città e le pene contro chi commette reati di violenza di genere.

Questa retorica, secondo la quale sono stati emanati provvedimenti che non hanno prodotto risultati significativi nell’arginare la violenza contro le donne, come il Codice Rosso o il DDL Roccella, oltre a essere fuorviante contribuisce a ridurre la violenza alla sua manifestazione fisica, all’aspetto coercitivo e fondato sulla forza bruta (stupro, femminicidio, ecc.). Se da una parte atti come questi ne rappresentano senz’altro le declinazioni più dure e urgenti da contrastare, dall’altra la violenza contro le donne si manifesta in diverse forme, non tutte ascrivibili a situazioni di sopraffazione fisica[1].

In particolare, lo sviluppo di nuovi mezzi di comunicazione virtuale, in una società in cui la discriminazione e il maschilismo rappresentano ancora una piaga sociale, è andato di pari passo con l’uso improprio della tecnologia, dando vita a nuove forme di violenza. Tra queste, la condivisione non consensuale di materiale intimo (erroneamente[2] conosciuta come “revenge porn”) è una delle più recentemente conosciute e formulate dal punto di vista legislativo.

Seppur la letteratura scientifica al riguardo è ancora scarsa, i primi studi sulle forme di violenza contro le donne in rete mostrano che gli abusi commessi con strumenti informativi hanno un impatto sulla salute mentale delle donne simile alle violenze sessuali subite “nel mondo reale”; provocano gravi effetti sulla salute psicofisica, come disturbi post-traumatici da stress, ansia, profonda sfiducia nella società e nelle persone, depressione, fino al suicidio. È questo il caso di Tiziana Cantone[3], donna toltasi la vita il 13 settembre 2016 per la vergogna e la disperazione a seguito della diffusione in rete di alcuni suoi video intimi a sua insaputa, scambiati e commentati su molti siti porno e sui social network; il suo tragico epilogo scosse fortemente l’opinione pubblica e ebbe un peso nell’introduzione dei primi provvedimenti per contrastare la condivisione non conse. Questi abusi online sono particolarmenti segnanti per le donne, da un lato per la difficoltà nel rimuovere il materiale dalla rete, dall’alto per il fatto che la propria intimità viene esposta a migliaia, se non milioni, di utenti[4].

Non si può non considerare, inoltre, come la società borghese odierna spinga sempre di più le fasce sociali più svantaggiate verso isolamento sociale, individualismo e abbrutimento. La solitudine diventa, con il capitalismo, una condizione sempre più comune[5], che spinge molte persone (giovani e non) a delegare ai social network la propria vita, in cerca di una parvenza di socialità in realtà illusoria.

Proprio i social diventano spesso luoghi di diffusione di idee maschiliste e misogine, a cui molti uomini fanno a vario titolo riferimento nella convinzione di poter riprendere il controllo della propria vita e di cercare di ottenere una parvenza di successo sociale[6]. Questa tendenza è ulteriormente accelerata dall’ascesa al governo o tra le file delle forze politiche borghesi di partiti che fanno apertamente proprie posizioni conservatrici, retrograde e che propugnano la necessità di un “ritorno ai valori tradizionali” (ivi compreso il ruolo subalterno della donna nei confronti dall’uomo) o in generale dalla diffusione tra le masse, specialmente giovanili, di teorie quali quelle “incel”[7], “redpill”[8] e della “manosfera[9], veri e propri centri di diffusione di propaganda reazionaria. A questo si aggiunge la mancanza dell’educazione sessuale, affettiva, al consenso e al piacere, non solo a scuola ma in ogni ambito della società, che servirebbe per ripudiare la concezione umiliante della donna che la oggettifica e la mercifica. Queste riflessioni si legano a recenti fatti che hanno avuto particolare risonanza: almeno due casi di violenza di gruppo online contro donne.

Il primo riguarda un gruppo su Facebook chiamato “Mia moglie”, a cui erano iscritti oltre 31mila utenti – per lo più uomini, e tra cui risultavano professionisti, imprenditori, funzionari pubblici, candidati sindaci, medici, giornalisti[10] – che condividevano foto delle proprie partner, raffiguranti anche scene intime e per lo più scattate in momenti privati senza il consenso. Questo gruppo, creato nel 2019[11] senza alcuna limitazione all’accesso di nuovi membri, è stato denunciato pubblicamente lo scorso 19 agosto dal blog No Justice No Peace Italy[12] ed è stato nella stessa giornata chiuso dalla piattaforma dopo migliaia di segnalazioni al social network e alla Polizia Postale perché violava «le policy contro lo sfruttamento sessuale di adulti»[13]. Lo scopo di quanti pubblicavano foto delle proprie fidanzate, compagne o mogli sul gruppo era quello di scrivere e ricevere commenti volgari, sessualmente espliciti o in alcuni casi addirittura violenti, dando sfogo nel peggiore dei modi alle proprie fantasie sessuali.

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Fonte: L'Ordine Nuovo

Autore: 
Lorenzo Vagni

Licenza: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Italia.

Articolo tratto interamente da 
L'Ordine Nuovo


12 commenti:

  1. Un tema troppo spesso sottovalutato. La violenza digitale è reale e lascia ferite profonde, anche se invisibili.

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  2. Non c'è giorno che non venga ammazzata una donna.E' una strage giornaliera.Ciao

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    1. Purtroppo i dati parlano chiaro, bisogna fermare questa spirale.

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  3. È importante che anche noi uomini riconosciamo il problema e ci schieriamo contro ogni forma di violenza, anche quella che si nasconde dietro uno schermo.

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  4. A volte leggo commenti atroci, di un'ignoranza davvero becera.

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    1. Hai ragione, la superficialità di certi ambienti online sembrano dare libero sfogo al peggio.

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  5. Credo che il problema si sia amplificato per via della spettacolarizzazione a cui assistiamo negli ultimi decenni. Prima di essere persone ora siamo figure, immagini, siamo centinaia di foto in un telefono o in una memoria digitale, ciò ha disumanizzato e ha reso il corpo sempre più " cosa" anche se è quello della persona che ha messo al mondo i tuoi figli. È un processo di reificazione che il capitalismo di oggi ha provocato senza ci fossero adeguate armi per fermare la deriva. I 60enni della mia generazione non si sono nemmeno accorti di quanto accadeva.

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  6. Se ne parla tanto, ma si fa davvero poco per prevenire. Purtroppo!

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