Angolo curato e gestito da Mary B.
Ci sono canzoni che non si ascoltano soltanto, si vivono. Back to Black è una di quelle. Amy Winehouse non ha scritto un brano: ha inciso un pezzo di sé, crudo, vulnerabile, autentico. È il suono di un cuore che si spezza e non chiede pietà.
Pubblicata nel 2007, questa canzone è il manifesto emotivo di un amore finito male, quello con Blake Fielder-Civil, che l’ha lasciata per tornare a una sua ex. Amy non lo racconta con rabbia, ma con una malinconia che ti si incolla addosso. “You go back to her, and I go back to black”, lui torna da lei, e lei torna al buio. Non c’è bisogno di spiegazioni: il dolore è lì, nudo, e ci parla.
Il sound è un capolavoro retrò, con echi Motown e soul anni ’60, ma la voce di Amy è tutto fuorché vintage. È viscerale, moderna, sporca di whisky e lacrime. Mark Ronson, il produttore, ha saputo cucirle addosso un arrangiamento che non copre, ma esalta ogni crepa della sua anima.
Back to Black non è solo una canzone: è una confessione, un addio, un ritorno a quel buio che tutti, almeno una volta, abbiamo conosciuto. E forse è proprio per questo che ci tocca così profondamente. Perché Amy non canta solo per sé. Canta per tutti noi.
Se ti è mai capitato di sentirti perso, ascoltala. Non ti salverà, ma ti farà sentire meno solo.
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Photo credit eddievanderwalt, Public domain, da Wikimedia Commons







Va beh, capolavoro!
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