Articolo da Rivoluzione
Nelle ultime settimane è all’ordine del giorno la questione della crisi del grano, crisi che preoccupa sempre più la borghesia a livello mondiale.
La guerra in Ucraina è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, visto che sia la Russia che l’Ucraina coprono da sole il 30 % delle esportazioni mondiali di grano. Da un lato le sanzioni, dall’altro il blocco delle esportazioni dal Mar Nero, stanno mettendo a rischio l’intera fornitura a livello mondiale. Nei silos ucraini sono bloccate 25 milioni di tonnellate di grano. Ad essere colpiti sono principalmente una serie di paesi del Medio Oriente e dell’Africa. E proprio in questi paesi la borghesia mondiale teme nuove rivolte per il pane, come quelle che hanno dato vita alle famose primavere arabe, oltre che nuove crisi migratorie.
La crisi innescata dalla guerra ha creato a catena altri problemi, con blocchi di export del grano da parte di alcuni paesi produttori di grano, come nel caso dell’India. Ma occorre essere chiari: il problema della crisi del grano non è dovuto solamente alla guerra, ma anche a seri problemi di raccolto mondiale dovuti al cambiamento climatico e alle conseguenze che questo comporta, come l’estrema siccità e il caldo torrido degli ultimi mesi. Ad esempio l’India puntava ad esportare oltre 10 milioni di tonnellate di grano e veniva indicata come la possibile alternativa a Russia e Ucraina, come il potenziale secondo paese esportatore al mondo, ma le temperature oltre 50 gradi hanno decimato i raccolti.
Per dirla tutta, la crisi del grano a causa del cambiamento climatico era già cominciata da tempo, come dimostrano i pessimi raccolti del grano canadese e statunitense nel 2021. Già dall’anno scorso i prezzi del grano duro e tenero erano fortemente aumentati e con lo scoppio della guerra ci sono stati nuovi balzi nei prezzi, con aumenti oltre il 40%. Basti vedere i futures del grano nelle borse di Chicago o Londra, per capire come i valori sono raddoppiati in meno di un anno. Di sicuro c’è anche un elemento di speculazione finanziaria, ma la reale penuria di materie prime è alla base di questa iperinflazione. Secondo il Dipartimento per l’agricoltura degli Usa, le scorte finali mondiali di frumento per l’anno 2021/22 saranno più basse delle stime e le previsioni per il 2022/23 non sono di certo rosee, con una produzione che è la seconda più bassa degli ultimi vent’anni.
Questa situazione può essere tragica per milioni di persone al mondo, principalmente nei paesi africani. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, la Fao, stimava che a causa di pandemia e siccità nel 2020 almeno 323,2 milioni di persone versassero in forme “severe” di insicurezza alimentare. Il World Food Programme dell’Onu, a causa di guerra e crisi del grano, si aspetta ora un aumento del 17% di persone colpite da insicurezza alimentare, arrivando a quota 378 milioni. Nell’Africa orientale, un terzo dei consumi di cereali si basa proprio sul grano, importato per l’84% da Russia e Ucraina, con punte del 90% come nel Corno d’Africa. Tutta l’Africa è una polveriera pronta ad esplodere per l’estrema crisi politica generale, accentuata dallo scontro imperialista tra potenze. Un’impennata dei prezzi del grano può in qualsiasi momento accendere la miccia per nuove rivolte, come quelle viste in passato.
Nel nostro paese, la rincorsa estrema alla semina di grano a causa della guerra può non dare i frutti sperati. Al Durum Days di Foggia, evento che riunisce Assosementi, Cia-Agricoltori Italiani, Confagricoltura e altre associazioni imprenditoriali di categoria, è stato prospettato che la produzione calerà del 2%, al di sotto dei 4 milioni di tonnellate, come conseguenza dell’estrema siccità e delle temperature anormali e nonostante tutti gli sforzi estremi di mettere a coltivazione nuovi terreni. Queste condizioni stanno mettendo a rischio i raccolti del 2022 anche nel resto d’Europa e anche oltreoceano. Il risultato, per le associazioni di categoria, è che da maggio 2021 a oggi il prezzo del frumento duro è aumentato dell’80%.
Possiamo prendere come esempio anche la Borsa merci di Torino, dove nel bollettino del 27 maggio 2021, i frumenti teneri nazionali costavano 242 euro alla tonnellata, mentre quelii esteri 319 euro. Appena prima della guerra, il 27 gennaio 2022, sempre il grano tenero nazionale veniva battuto a 353 euro alla tonnellata e quello estero a 450 euro. Nel bollettino del 19 maggio 2022, quelli nazionali son saliti a 445 euro a tonnellata, mentre quelli esteri a 617 euro. Dati che dimostrano una inflazione a due cifre per beni di prima necessità.
La tendenza che si sta creando a livello mondiale nel campo dell’agricoltura non riguarda solo la questione del grano, che è una delle materie prime più utilizzate per sfamare l’umanità. Anche le altre materie prime agricole vivono il problema di una fortissima inflazione. Il riso è aumentato in un anno del 21%, il costo dei grassi vegetali del 46% e dei cereali del 34%, lo zucchero del 22% e il latte del 24%. A livello generale si stima una aumento mondiale in media del 30% su tutti i prodotti alimentari.
A questo devono essere aggiunti altri fattori importanti, come l’aumento del prezzo del mais e l’estrema difficoltà di reperirlo a causa della guerra, con la conseguenza di seri problemi per l’alimentazione negli allevamenti. L’Europa è fortemente legata all’importazione di mais da paesi esteri, in particolare dall’Ucraina. Per non parlare del problema dei fertilizzanti, visto che Russia e Bielorussia sono i principali paesi produttori, e del caro energia, che colpisce duramente tutti i settori produttivi, compreso il settore agricolo: serve gas per produrre fertilizzanti, così come servono carburanti per muovere i container con le derrate alimentari e via dicendo.
Ma non c’è solo il problema inflattivo. Il cambiamento climatico porta con se’ anche tutta una serie di malattie negli allevamenti. L’aviaria di polli e tacchini ha creato non pochi problemi negli allevamenti europei negli ultimi mesi, facendo schizzare il costo della carne bianca. Ora si registrano anche i primi casi in Usa e Cina. Altro problema che preoccupa seriamente è la peste suina, che sta portando a una decimazione degli allevamenti di maiali. In Italia il problema è fortemente sentito con serie ricadute anche in termini di perdita di posti di lavoro.
Ancora una volta si può vedere la totale incapacità del capitalismo di risolvere la questione dell’agricoltura e della fame del mondo e, con la questione del cambiamento climatico, questo problema tenderà sempre più ad accentuarsi. In determinati periodi storici, il rapporti tra materie prime e forze produttive può tradursi in un problema del tutto strutturale per il capitalismo. Ancor di più per i prodotti agricoli. In questi periodi, il capitalismo mondiale è costretto a prendere in considerazione soluzioni d’emergenza che vanno contro le stesse leggi del capitalismo e della libera concorrenza.
Lo spiegava benissimo Marx nel Capitale: “Violente oscillazioni di prezzo causano perciò interruzioni, scontri e persino catastrofi nel processo di riproduzione. Sono specialmente i veri e propri prodotti agricoli, le materie prime di origine organica, ad essere esposti a simili fluttuazioni di valore in seguito a raccolti alterni…è nella natura della cosa che le materie prime vegetali e animali, il cui aumento e la cui produzione sottostanno a date leggi organiche, collegate a certi periodi naturali, non possono essere accresciute nella stessa misura, per es. delle macchine e di altro capitale fisso.”
Per Marx, questa questione creava un problema per il capitalismo stesso, uno squilibrio tra capitale fisso (come ad esempio i macchinari industriali) e certe materie prime di natura organica, dove la domanda cresce più in fretta dell’offerta e rompe le leggi stesse del capitalismo e della concorrenza: “Quanto più è sviluppata la produzione capitalista, quanto maggiori sono perciò i mezzi per aumentare improvvisamente e in modo duraturo la parte del capitale costante composta da macchine, ecc., quanto più rapida è l’accumulazione (come, soprattutto, in tempi di prosperità), tanto maggiore sarà la sovrapproduzione relativa di macchine e altro capitale fisso, e tanto più frequente la sottoproduzione relativa delle materie prime vegetali ed animali; tanto più marcati saranno il già descritto aumento del loro prezzo e le ripercussioni ad esso corrispondenti. Saranno perciò anche più frequenti i rivolgimenti causati da questa violenta oscillazione nel prezzo di uno dei principali elementi del processo di riproduzione.”
Con gli effetti del cambiamento climatico, questa tendenza tra sovrapproduzione di macchine e capitale fisso e sottoproduzione di materie prime organiche, tenderà ad aumentare, creando crisi sempre più forti di carattere mondiale.
Fonte: Rivoluzione
Autore: Enrico Duranti
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