Articolo da OggiScienza
È ufficiale: sulla Luna c’è acqua. Non solo nei gelidi crateri polari perennemente in ombra ma anche nelle zone della superficie illuminate dal Sole. La scoperta è arrivata grazie ad una fortunata osservazione dell’osservatorio stratosferico della NASA SOFIA (Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy), che ha rilevato molecole d’acqua (H2O) nel cratere Clavius. Un bacino di circa 230 chilometri di diametro, situato nella parte sud-occidentale del lato della Luna visibile dalla Terra.
L’annuncio arriva in un momento estremamente caldo per l’esplorazione lunare ed ha il potenziale per incentivare (e stravolgere) i futuri programmi spaziali. Lo studio è stato pubblicato su Nature Astronomy.
La scoperta
Gli scienziati avevano già da tempo osservato un’inspiegabile idratazione diffusa sulla superficie lunare, indicata anche dallo spettro di assorbimento che mostrava una caratteristica di assorbimento a 3 µm, tipico di ghiaccio, acqua o del radicale libero OH. Il fenomeno era sicuramente legato a qualche specie di idrogeno ma, a quella risoluzione, era impossibile stabilire se si trattasse di molecole d’acqua o di altri composti idrossilici (OH).
SOFIA è riuscito a raffinare le osservazioni trovando acqua in concentrazioni da 100 a 412 parti per milione intrappolata in un metro cubo di terreno. Questa quantità, che per avere un’idea corrisponde più o meno a 0,35 litri, è molto scarsa se raffrontata al deserto del Sahara sulla Terra, che ha una quantità d’acqua 100 volte superiore. Tuttavia, nonostante la bassa concentrazione, la scoperta solleva molte nuove domande: quale processo sta creando acqua sulla Luna? E quanto resiste sulla superficie lunare priva di atmosfera?
«Avevamo indicazioni che la familiare acqua che tutti conosciamo fosse presente sul lato soleggiato della Luna», ha detto Paul Hertz, direttore della Divisione Astrofisica presso il Science Mission Directorate della NASA. «Ora sappiamo che è lì. Questa scoperta sfida la nostra comprensione della superficie lunare».
«Prima delle osservazioni di SOFIA, sapevamo che c’era una sorta di idratazione», ha detto Casey Honniball, autrice principale del documento. «Ma non sapevamo quanta acqua ci fosse e se fosse effettivamente acqua come quella che beviamo tutti i giorni, o qualcosa di più simile a uno sturalavandini». Ma SOFIA ha offerto un modo nuovo per guardare la Luna.
SOFIA
Lo Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy è un telescopio riflettore con un diametro effettivo di 2,5 metri che vola a bordo di un Boeing 747SP modificato. Compie osservazioni atmosferiche tra gli 11.500 e i 13.700 chilometri di quota e, volando sopra il 99% dell’atmosfera terrestre più umida che blocca gli infrarossi, può studiare il sistema solare e il cosmo da una prospettiva privilegiata. Né dalla Terra, né dallo spazio e da qualsiasi punto del globo (anche sopra gli oceani!). Fotocamere, spettrometri e polarimetri che accompagnano il telescopio operano nelle lunghezze d’onda del vicino, medio e lontano infrarosso, ciascuno adatto allo studio di un particolare fenomeno. La fotocamera Faint Object infraRed CAmera for the SOFIA Telescope (FORCAST) è stata in grado di captare la lunghezza d’onda specifica delle molecole d’acqua a 6,1 µm, scoprendo una concentrazione relativamente sorprendente nel soleggiato cratere Clavius e dintorni.
SOFIA ha raggiunto questi risultati con un’osservazione di prova. L’osservatorio, progettato per guardare oggetti lontani e deboli, è stato puntato verso la Luna che ha saturato il suo campo visivo. Anche la fotocamera di servizio per il tracking stellare, grazie alla quale il telescopio tiene agganciato il target, era inutilizzabile durante l’esperimento del 31 agosto 2018. «È incredibile che questa scoperta sia nata da quello che era essenzialmente un test e, ora che sappiamo di poterlo fare, stiamo pianificando più voli per ulteriori osservazioni», ha detto Naseem Rangwala, scienziata del progetto SOFIA presso l’Ames Research Center della NASA.
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Fonte: OggiScienza
Autore: Elisabetta Bonora
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Articolo tratto interamente da OggiScienza
Photo credit NASA, Public domain, via Wikimedia Commons
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