giovedì 4 luglio 2019

Nazionale di calcio femminile: un sogno che non può finire

Italia Team (Women World Cup France 2019)

Articolo da The Bottom up

Tutta Italia ha seguito il percorso straordinario delle ragazze mondiali fino ad un quarto di finale durissimo contro le olandesi, campionesse europee in carica. Le nostre azzurre ci hanno fatto sognare con loro, ci siamo tutti un po’ innamorati di loro, del loro entusiasmo e della favola che hanno vissuto ed hanno fatto vivere a noi italiani, tifosi e non. Hanno conquistato copertine, prime pagine, hanno avuto gli onori della cronaca, in un paese dove fino ad ora si era parlato molto poco di calcio femminile. Ma d’ora in avanti sarà ancora così? Vi voglio dare cinque valide ragioni per cui il sogno delle nostre ragazze deve continuare.

Il calcio è lo sport più bello del MONDO


È una frase fatta, ma finalmente potrebbe non esserlo più. Si dice sia lo sport più bello del mondo perché è il più semplice. Perché se dai un pallone a un bambino, subito lo prende a calci. E se ne dai uno ad una bambina?
Ci è servito il mondiale di Francia per scoprire l’altro lato del pianeta calcio, quello femminile. Un lato che nel Nuovo Mondo, l’America, conoscevano già da qualche anno, e che qui nella cara vecchia Europa stentava a decollare. Il calcio è uno sport di tutti e per tutti, non c’è più spazio per le discriminazioni ora, né di razza, né di sesso. Abbiamo un capitano (anzi capitana come dice lei), che conosce molto bene entrambi gli aspetti. Sara Gama, nata a Trieste da padre congolese e mamma triestina. Lei che ha iniziato il suo sogno da quel pallone che le regalò il nonno da bambina. Semplicemente forte, in campo e fuori. Capitana della Juventus e della Nazionale, di lei la c.t. Milena Bertolini dice: “È la dura del gruppo, dà sicurezza alle sue compagne di squadra”. Unica italiana ad essere stata inserita da Mattel tra le 17 personalità femminili internazionali «che hanno saputo diventare fonte di ispirazione per le generazioni di ragazze del futuro», e omaggiata con una speciale Barbie riproducente le sue fattezze. Consigliere FIGC dall’ottobre 2018, in occasione dei festeggiamenti al quirinale per i 120 anni di federazione, ha tenuto un commosso discorso di fronte al presidente Mattarella sulle difficoltà e l’orgoglio di essere calciatrici. C’è un’immagine e un esempio migliore che noi Italia possiamo dare al mondo e alle generazioni future? Non credo.

Professionismo: è giunto il momento

Al termine di Giamaica-Italia il presidente federale Gabriele Gravina si era impegnato pubblicamente a fare di tutto per agevolare lo sbarco nel professionismo delle calciatrici italiane. Ha dichiarato : “In tempi non sospetti, abbiamo suggerito una proposta che consentirebbe ai club femminili, così come per il primo livello del professionismo maschile, di attutire l’impatto dei costi del professionismo, beneficiando di un credito d’imposta da reinvestire”. Dopo Italia – Olanda ha riconfermato l’impegno della FIGC a cambiare lo status delle calciatrici italiane a partire dal 1 luglio 2020. Intanto per ora, Serie A e Serie B femminili non sono sotto la responsabilità della FIGC, ma della Lega Nazionale Dilettanti.
Il passaggio al professionismo non deve essere letto come un premio alle azzurre. È un traguardo, dovuto e meritatissimo per tutti i sacrifici che le donne devono e hanno dovuto affrontare per giocare.
Che cosa comporterebbe per una giocatrice non essere più una dilettante ma una professionista? Essere atlete dilettanti non paga o nella maggior parte dei casi, almeno fino ad ora, ha pagato molto poco. Le società, gli sponsor, difficilmente investono in un ambiente non professionistico. Diventare professioniste vorrebbe dire anche avere una maggiore tutela previdenziale ed un sistema pensionistico per le calciatrici. Nessuna ragazza dovrebbe più lavorare e giocare allo stesso momento perché il calcio per una donna non dà futuro. Nessuna dovrebbe più scegliere se inseguire i propri sogni dietro a un pallone o rinunciarci per avere una posizione, uno stipendio sicuro. Nessuna dovrebbe rinunciare a una brillante carriera nelle serie maggiori per mancanza di tempo e denaro, limitandosi a qualche torneo amatoriale in provincia pur di giocare. Laura Giuliani, portiere della Nazionale, ha dichiarato di aver lavorato di notte in una panetteria per avere le ore diurne a disposizione per potersi allenare. Come può il calcio femminile italiano crescere e come possono le atlete rendere al 100% se devono trovare il tempo per lavorare, allenarsi e giocare, magari in trasferte lunghissime? Se siamo arrivati tra le prime otto del mondo lo dobbiamo alla passione e ai sacrifici che le calciatrici italiane stanno facendo ed hanno sempre fatto.
Staccarsi dalla LND vuol dire anche allontanarsi da vertici che poco hanno amato il calcio femminile. Come l’ex presidente Belloli, la cui scioccante dichiarazione “basta dare soldi a queste 4 lesbiche” costó la poltrona (fortunatamente), o le gaffes di Tavecchio, che vedeva il calcio femminile come da valorizzare, ma la donna come un soggetto “un po’ handicappato” rispetto all’uomo. Vuol dire evitare che una pasticceria di Busto Garolfo, I Dolci Sapori, sempre tramite Carlo Tavecchio, diventi il main sponsor del campionato di Serie A, per poi dichiarare fallimento 3 mesi dopo l’inizio tra lo sconcerto generale delle società. Le nostre ragazze non meritano tutto questo.

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Fonte: 
The Bottom up

Autore: 
Riccardo Dotti


Licenza:  Licenza Creative Commons
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Articolo tratto interamente da 
The Bottom up


Photo credit Liondartois [CC BY-SA 4.0], via Wikimedia Commons


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