giovedì 28 marzo 2019

Samos: l'isola dimenticata



Articolo da AsinuPress

C’è un’isola nel Mar Egeo che oggi rappresenta uno dei simboli del fallimento dell’Unione Europea nella gestione dei flussi migratori. Il suo nome è Samos, meta turistica estiva e nota al mondo per aver dato i natali ad Epicuro, Pitagora, Aristarco ed Escrione. Insieme a Kos, Lesbos e Kios, ha accolto in questi anni i migranti provenienti dalla Turchia.

Ankara e L’Unione Europea hanno stretto un accordo nel marzo del 2016. Il patto prevede che i migranti in arrivo dalla Turchia non possano lasciare le isole su cui giungono se prima non ricevono il via libera dai centri di registrazione e identificazione lì allestiti. Questo perché la Turchia ha stabilito che possano far rientro solo i migranti, a cui è stata rifiutata la protezione, che provengono dalle isole greche e non chi, ad esempio, è già giunto in Atene. I migranti sono pertanto costretti a restare a Samos finché qualcuno non assicurerà loro la possibilità di continuare il percorso verso un luogo in cui si potrà stabilire e vivere senza più temere per la propria incolumità. I tempi, però, come noto, non sono mai veloci: si può attendere qualche mese, un anno o anche due se si fa appello in caso di rigetto della domanda. E questo significa che per lunghi periodi di tempo non possono far altro che restare lì: bloccati, senza possibilità di andare via e cercare altrove un luogo in cui vivere.


Di hotspot, centri di registrazione e identificazione, sull’isola di Samos, ce n’è solo uno. Questo comprende, al suo interno, anche uno svariato numero di container e di risorse primarie per garantire almeno un’accoglienza base ai migranti. Il problema è che l’attrezzatura ivi presente è idonea ad ospitare solo all’incirca seicentocinquanta persone, mentre sull’isola, attualmente, ve ne sono almeno cinquemila. Le persone che non riescono ad avere accesso ai servizi, finiscono per organizzarsi con quello che trovano: si allontanano un po’, si dirigono verso un bosco e lì creano un accampamento. Con tende e oggetti recuperati in giro. Questo significa vivere per lunghi periodi senza acqua con cui lavarsi, senza luce, senza servizi igienici, al freddo e in condizioni di sofferenza. “We are not animals” è ciò che ripetono le persone lì accampate.

Continua la lettura su AsinuPress





Articolo tratto interamente da AsinuPress


2 commenti:

I commenti sono in moderazione e sono pubblicati prima possibile. Si prega di non inserire collegamenti attivi, altrimenti saranno eliminati. L'opinione dei lettori è l'anima dei blog e ringrazio tutti per la partecipazione. Vi ricordo, prima di lasciare qualche commento, di leggere attentamente la privacy policy. Ricordatevi che lasciando un commento nel modulo, il vostro username resterà inserito nella pagina web e sarà cliccabile, inoltre potrà portare al vostro profilo a seconda della impostazione che si è scelta.