lunedì 3 febbraio 2014

Agbogbloshie: la discarica nera dell’Occidente

Agbogbloshie

Articolo da Voci Globali


Sono stata a Sodoma e Gomorra. Per vedere come si vive tra macerie di prodotti tecnologici ed elettrodomestici da riconvertire in pochi spiccioli. Per vedere come avidità, profitto, consumo sfrenato, generano caos e miseria. Per respirare quell’aria putrida, pestifera, mortale. Aria di cui Sodoma e Gomorra vive. Qui si cucina, si mangia, si vende, Ci si vende. Circola droga, si fanno affari. Affari miseri, di quelli che ti consentono di arrivare al giorno dopo. Nello stesso inferno, con la stessa febbrile e malata frenesia.

Se chiedi in giro di indicarti dove si trova Agbogbloshie pochi sanno risponderti, ma se chiedi dov’è Sodoma e Gomorra allora sì che lo sanno tutti. Lo chiamano così questo luogo, perché qui i racconti e le favole bibliche sono realtà. Agbogbloshie si è ingrandita al ritmo del progresso dell’elettronica e dell’hi-tech, la proporzione è semplice: più cellulari, frigoriferi, computer di nuova generazione si acquistano nei Paesi occidentali più ne arrivano quaggiù di quelli dismessi.

Agbogbloshie negli anni è raddoppiata, triplicata, quadruplicata nelle dimensioni e anche la sua notorietà è cresciuta; tanto da scalare le classifiche di quegli studi e ricerche che ogni tanto ci ricordano che tipo di mondo abbiamo creato. L’ultima è quella di Green Cross e Blacksmith Institute che ha presentato l’elenco dei “dieci luoghi maledetti”. I luoghi più inquinati della terra.

Il primo di questi è Agbogbloshie, ovvero: Sodoma e Gomorra. La più grande discarica di materiale elettronico esistente al mondo. Materiale scaricato illegalmente.

Ci si arriva attraversando la solita Accra affollata e indaffarata, ma non c’è un “ingresso” che separa la vita degli altri e quella di chi “lavora” qui. L’inferno è aperto a tutti, giusto a pochi passi da chi espone cassava, chi cucina banku sul fornello e chi va a scuola. Un inferno a porte aperte, ma dove i bianchi non sono benvenuti. E quando tiri fuori la macchina fotografica diventi bersaglio di minacce esplicite e sguardi e gesti cattivi. Qui molti pensano che tutti i loro mali abbiano radice nel passato coloniale e che gli occidentali siano degli sfruttatori. Ma cosa pensano dell’oggi? Di questo nuovo sfruttamento, di questa nuova schiavitù.

Stanno qui, piegati tutto il giorno, smontando pezzi che trasudano materiale chimico. A mani nude e i piedi nei liquami. Anche i bambini. Impossibile dire quante persone vivono e transitano qui ogni giorno. 40.000, 50.000, probabilmente di più. La maggior parte proviene dal nord del Ghana dove le opportunità lavorative sono ancora più scarse che nel resto del Paese. E la povertà è a livelli estremi.

La merce arriva da ogni angolo del mondo: Gran Bretagna, Germania, Giappone, Olanda, Stati Uniti… Spedita come materiale di seconda mano o anche donazioni. Il modo più facile ed economico per liberarsene. Grandi compagnie, società, multinazionali e anche ONG hanno contribuito, a partire dagli anni Novanta e con le famose campagne per ridurre il digital divide a “sviluppare” questo posto, ad alimentarne il degrado e la miseria.

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Fonte: Voci Globali


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Articolo tratto interamente da Voci Globali

Photo credit Marlenenapoli (Own work) [CC0], via Wikimedia Commons

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