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mercoledì 15 ottobre 2025

Contratti pirata e lavoro povero: il salario minimo resta un miraggio



Articolo da Volere la luna

Sulla Gazzetta ufficiale del 3 ottobre 2025 è stato pubblicato il testo della legge delega 26 settembre 2025 n. 144, recante, tra l’altro, norme in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva. L’art. 1 della legge, dopo avere enunciato nel primo comma le finalità dell’intervento normativo (cioè quelle di assicurare ai lavoratori “trattamenti giusti ed equi” e di “contrastare il lavoro sottopagato”), fissa nel suo secondo comma criteri direttivi abbastanza aperti, che lasciano ampi poteri di manovra all’esecutivo. Bisognerà pertanto attendere i decreti delegati – che dovranno essere emanati entro sei mesi – per formulare un giudizio complessivo, anche se qualcuno dei criteri direttivi merita di essere da subito commentato, perché pone interrogativi molto seri sui futuri sviluppi del diritto sindacale nel nostro Paese.

La genesi della legge e il complesso e tormentato iter parlamentare che l’ha partorita, avevano destato più di qualche inquietudine circa la reale volontà del Governo. L’Esecutivo aveva già infatti a disposizione una delega legislativa per intervenire in materia di trattamenti retributivi: quella conferitagli dalle Camere per l’attuazione della direttiva UE 2041/2022 relativa ai salari minimi adeguati, ma aveva deciso di lasciar scadere i termini per emanare i relativi decreti delegati, dichiarando esplicitamente che l’ordinamento italiano era già conformato alla Direttiva, posto che, nel nostro Paese, la copertura offerta dalla contrattazione collettiva sarebbe superiore all’80% fissato dalla Direttiva stessa. La sensazione generale fu che la maggioranza, dichiaratamente contraria ad introdurre un salario minimo per legge, fosse intenzionata semplicemente a non fare nulla. Quella sensazione invece si è rivelata del tutto errata, perché nella realtà il Governo stava già realizzando un disegno ben diverso e più ambizioso rispetto a quello di difendere semplicemente lo status quo. L’esecutivo, infatti, nell’autunno del 2023, aveva di fatto “scippato” la proposta di legge sul salario minimo presentata dalle opposizioni all’esame della Camera (sottoscritta da tutti i leader dei maggiori partiti di opposizione), facendo passare un emendamento totalmente soppressivo di quelle norme e sostituendole con una delega legislativa, delega approvata dapprima alla Camera ed ora definitivamente divenuta legge dello Stato. Vane sono state le proteste dell’opposizione, che ha parlato di legge truffa, e ha avuto una valenza purtroppo soltanto simbolica il gesto del ritiro delle firme da parte dei proponenti dell’originaria proposta di legge, ormai del tutto snaturata. L’iter parlamentare ora si è concluso e quindi ormai appare chiaro che con questa legge e i relativi decreti delegati bisognerà fare i conti.

Nel frattempo, peraltro, è autorevolmente intervenuta la Cassazione con sei sentenze dell’ottobre 2023 sull’art. 36 Costituzione, nelle quali è stata delineata la nozione di salario minimo costituzionale, inderogabile dalla contrattazione anche se stipulata dalle organizzazioni sindacali più rappresentative. E con i principi enunciati in queste sentenze dovranno necessariamente fare a loro volta i conti sia il legislatore delegato che le parti sociali. Il quadro complessivo è, insomma, assai complicato e si aprono scenari non ancora del tutto prevedibili.

La proposta di legge sul salario minimo presentata unitariamente dall’opposizione si fondava sui seguenti pilastri fondamentali: a) definiva in modo certo e cogente il trattamento economico che realizza il precetto dell’art. 36 Costituzione, stabilendo che non potesse essere comunque inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, ed estendeva in qualche misura tali garanzie anche ai lavoratori autonomi; b) prevedeva, a ulteriore garanzia del riconoscimento di una giusta retribuzione una soglia minima inderogabile in allora fissata in 9 euro l’ora, rivalutabili annualmente in base a un meccanismo che prevedeva anche il coinvolgimento delle parti sociali; c) garantiva l’ultrattività dei contratti scaduti o disdettati; d) introduceva un’apposita procedura giudiziaria, ispirata all’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori. volta a garantire l’effettività del diritto a godere di un trattamento dignitoso.

La legge delega in esame, invece, adotta principi direttivi del tutto differenti. La prima cosa che balza all’occhio è la mancata fissazione di una soglia minima inderogabile, sotto la quale i contratti collettivi non possono scendere. La questione è di fondamentale importanza, perché la fissazione di un minimo inderogabile rappresenterebbe un sostegno – e non certo un ostacolo – alla contrattazione collettiva nei settori di sua maggior debolezza. Secondo il progetto delle opposizioni, il salario minimo era pur sempre quello stabilito dai contratti stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, che quindi vedevano pienamente salvaguardato il proprio ruolo di autorità negoziale, ma la soglia minima costituiva un limite invalicabile anche in quei settori in cui il dumping dei contratti “pirata” spingeva verso un ribasso incontrollato ovvero in quelle situazioni nelle quali il mancato rinnovo dei contratti era ormai diventato la regola rendendo col tempo inadeguati salari che un tempo non erano tali. Un impianto, peraltro, che aveva il pregio di essere in piena sintonia con le sentenze della Suprema Corte dell’ottobre 2023, e quindi con l’esigenza di rendere effettivo il principio del salario costituzionale.

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Fonte: Volere la luna

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Articolo tratto interamente da Volere la luna


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