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martedì 29 aprile 2025

India-Pakistan: rischio di guerra



Articolo da Altrenotizie

Per la quarta notte consecutiva dall’attacco terroristico di settimana scorsa in Kashmir, le forze armate di India e Pakistan si sono scambiate colpi di arma da fuoco lungo la linea del confine di fatto che divide i due paesi asiatici. L’escalation dello scontro dopo l’assassinio di 26 turisti ha già raggiunto livelli molto pericolosi, con Nuova Delhi che potrebbe bombardare il Pakistan e ha preso la decisione senza precedenti di sospendere un fondamentale trattato sulla condivisione delle acque del fiume Indo, mentre da Islamabad è arrivata la minaccia esplicita del possibile uso di armi nucleari. Sull’episodio di sangue nella regione contesa non c’è ancora chiarezza, ma le tensioni che sono subito prevedibilmente esplose vanno senza dubbio ricondotte sia alle drammatiche vicende post-coloniali sia, soprattutto, alle cambiate dinamiche strategiche degli ultimi due decenni che hanno visto esplodere la competizione tra Cina e Stati Uniti.

Sull’orlo della guerra

L’attacco terroristico è avvenuto martedì scorso dei pressi della località di Pahalgam, nella popolare destinazione turistica della valle di Baisaran, e le vittime sono tutti cittadini indiani, a parte uno di nazionalità nepalese. Il governo indiano ha attribuito la responsabilità dell’accaduto a quello pakistano, perché l’organizzazione che avrebbe portato a termine l’azione, ovvero il cosiddetto “Fronte di Resistenza”, collegato al gruppo terrorista “Lashkar-e-Taiba” (LeT) che opera dal territorio pakistano, è stato sostenuto, almeno in passato, da sezioni dell’apparato militare e di intelligence di Islamabad.

Il giorno successivo all’attacco, il governo indiano ha deciso di espellere buona parte della rappresentanza diplomatica pakistana, inclusi i militari di stanza presso l’ambasciata di Nuova Delhi, così come tutti i cittadini di questo paese, invitati ad andarsene entro il 29 aprile. Inoltre, sono stati chiusi i punti di frontiera con il Pakistan e, come già anticipato, il primo ministro di estrema destra, Narendra Modi, ha bloccato l’implementazione del trattato sulle acque dell’Indo.

Firmato nel 1960 con la mediazione della Banca Mondiale, questo documento stabilisce i diritti e i doveri di India e Pakistan su un corso d’acqua cruciale per popolazioni ed economie di entrambi i paesi. Delhi non ha la facoltà di fermare del tutto l’afflusso di queste acque al Pakistan, ma anche solo la riduzione della quantità disponibile potrebbe creare enormi problemi. Più dell’80% dell’agricoltura e un terzo dell’energia idroelettrica generata dal Pakistan dipendono dalle acque dell’Indo. Mai prima d’ora l’India aveva decretato la sospensione del trattato, nemmeno durante le varie guerre e scontri a fuoco che hanno segnato la storia dei rapporti tra questi due paesi negli ultimi decenni.

Islamabad, da parte sua, ha definito lo stop del trattato un vero e proprio “atto di guerra” e ha risposto attuando contromisure immediate, tra cui la chiusura del proprio spazio aereo alle compagnie indiane, l’interruzione dei traffici commerciali con il vicino, l’ordine di espulsione dei cittadini indiani e la sospensione dell’Accordo di Simla del 1972. Quest’ultimo aveva seguito la guerra indo-pakistana dell’anno precedente e fissava la “Linea di Controllo” come confine di fatto tra il Kashmir controllato dall’India e quello controllato dal Pakistan, rimandando a un negoziato futuro la demarcazione definitiva del territorio conteso.

Come ha ricordato nei giorni scorsi il primo ministro pakistano, Shebhaz Sharif, anche il suo paese ha pagato e continua a pagare un conto salatissimo al terrorismo fondamentalista. Le accuse all’India di fomentare, se non appoggiare più o meno direttamente, gruppi come i separatisti del Belucistan o i Talebani pakistani (“Tehreek-e-Taliban”) non sono nuove. Dall’inizio dell’anno, si sono registrate in Pakistan già più di 200 vittime, per lo più membri delle forze di sicurezza, in seguito ad attentati e scontri armati con queste organizzazioni terroristiche.

Dopo una riunione del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, il governo di Islamabad ha anche dichiarato che le proprie forze armate sono “totalmente pronte e in grado di difendere la sovranità e l’integrità territoriale”. Il Pakistan ha chiesto infine un’indagine imparziale sull’attentato. Il ministro della Difesa pakistano, Khawaja Asif, ha invece affermato che il suo governo ritiene ci siano elementi per sostenere che l’attacco sia una “false flag” organizzata dall’India, mentre lunedì ha avvertito che l’India potrebbe in qualsiasi momento ordinare una “incursione militare” in Pakistan. Quanto al Fronte di Resistenza per il Kashmir, in un comunicato emesso domenica ha negato “inequivocabilmente” ogni responsabilità, spiegando che la precedente rivendicazione era dovuta a un attacco informatico per mano dell’intelligence indiana.

Il governo del premier Modi ha in ogni caso avviato una massiccia campagna repressiva nel Kashmir controllato dall’India. Secondo notizie riportate dalla stampa internazionale, più di 500 persone sarebbero state fermate e interrogate. Un migliaio invece sono le perquisizioni eseguite finora in abitazioni e altri edifici. Alcune case di “sospetti militanti” sono state rase al suolo e, in generale, la campagna in atto si sta accompagnando a un innalzamento dei toni della retorica ultra-nazionalista che vede coinvolti anche i partiti di opposizione e la stampa ufficiale indiana.

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Fonte: Altrenotizie

Autore: 
Michele Paris

Licenza: Creative Commons (non specificata la versione

Articolo tratto interamente da Altrenotizie.org 


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