sabato 12 ottobre 2024

La sanità al collasso



Articolo da La Città invisibile, rivista del laboratorio politico perUnaltracittà – Firenze

Se la bussola rimane sull’articolo 32 della Costituzione e sul rispetto dei princìpi fondanti del SSN, e cioè universalità, uguaglianza, equità, basati sulla fiscalità generale, abbiamo perso la strada e non da ora ma da quindici anni. I vari governi multicolori, che si sono succeduti, si sono distinti per definanziare il SSN, privatizzando i servizi più remunerativi, affamandone altri come quelli per la prevenzione delle malattie. La sanità è stata vista come un costo da tagliare ripetutamente e non come una priorità su cui investire continuamente per tutelare la salute delle persone e favorire la crescita economica del Paese. Neppure la grave emergenza pandemica è riuscita a far crescere la consapevolezza politica e sociale del ruolo insostituibile del SSN: nonostante inizialmente tutte le forze politiche convergessero sulla necessità di rilanciare la sanità pubblica: con la fine dell’emergenza il SSN è tornato “all’angolo”.

E’ scaduto il tempo dei rimpianti e delle colpe, in assenza di un esplicito programma politico per il salvataggio del SSN, e visto che la casa sta crollando, e la piccola ‘manutenzione ordinaria’  non è più sufficiente, la prestigiosa Fondazione Gimbe, l’8 ottobre 2024 ha presentato a Roma al Senato della Repubblica il 7° Rapporto GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale a cura di Nino Cartabellotta, Marco Mosti, Elena Cottafava, Roberto Luceri. Il Rapporto che la Fondazione GIMBE pubblica periodicamente presenta un’analisi sulle condizioni della sanità in Italia. L’edizione di quest’anno è dedicata alle criticità del SSN e acquisisce un interesse particolare, richiamando l’applicazione dei principi di universalità e uguaglianza sanciti dalla Costituzione.

Sono 182 pagine, 9 capitoli molto interessanti, pieni di numeri e di tabelle circostanziate. Uno dei dati più drammatici che emerge è quello riferito alla crescente rinuncia alle cure, alla crescente povertà assoluta ed alla conseguente riduzione dell’aspettativa di vita nel Sud del Paese:

“Nel 2023 oltre 4,48 milioni di persone (7,6%) di persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie, di cui quasi 2,5 milioni (4,2%) per motivi economici: quasi 600.000 persone in più rispetto all’anno precedente. Infine, l’impatto sulla salute deve anche considerare l’incidenza della povertà assoluta che tra il 2021 e il 2022 è salita dal 7,7% all’8,3%, coinvolgendo quasi 2,1 milioni di famiglie: le stime preliminari ISTAT per il 2023 indicano un incremento all’8,5%. Questo fenomeno contribuirà alla rinuncia alle cure, al peggioramento della salute e alla riduzione dell’aspettativa di vita delle persone più povere del Paese. Non a caso, le stime ISTAT per il 2023 mostrano che, a fronte di un’età media di 83,1 anni a livello nazionale, si registrano notevoli differenze regionali: dagli 84,6 anni della Provincia autonoma di Trento agli 81,4 anni della Campania, con una differenza di ben 3,2 anni. In tutte le 8 Regioni del Mezzogiorno l’aspettativa di vita è inferiore alla media nazionale, un segnale indiretto sia delle criticità dei servizi sanitari regionali, sia dell’incidenza della povertà assoluta.”

Un altro aspetto molto preoccupante è dato dalla crisi del personale sanitario: “Dovuta sia ad errori di programmazione, sia al definanziamento, sia alle recenti dinamiche di crescente demotivazione e disaffezione per il SSN. Peraltro, i casi di violenza fisica e verbale ai danni del personale sanitario sono in aumento, soprattutto nei pronto soccorso, peggiorando ulteriormente la sicurezza le condizioni di lavoro, oltre che la frustrazione e la demotivazione professionale. A tutto ciò si aggiungono la burocrazia e la scarsa digitalizzazione, che aumentano la complessità e l’inefficienza del lavoro quotidiano dei professionisti sanitari.”

Senza dimenticare che: “Sprechi e inefficienze. Si annidano a tutti i livelli del SSN ed erodono preziose risorse: sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie inefficaci, inappropriate o dal basso valore, sottoutilizzo di prestazioni sanitarie efficaci, appropriate o dal valore elevato, inadeguato coordinamento dell’assistenza, acquisti a costi eccessivi, inefficienze amministrative, frodi e abusi.”

La salute è diventata non più un bene da tutelare secondo il dettato costituzionale, ma una merce da vendere e comprare, dove le prestazioni sono accessibili solo a chi può pagare di tasca propria o ha sottoscritto costose polizze assicurative. Questa deriva politica, è anche figlia di un diffuso sentire socio-culturale: “cittadini e pazienti con aspettative irrealistiche nei confronti di una medicina mitica e di una sanità infallibile, alimentate da analfabetismo scientifico ed eccessi di medicalizzazione, che da un lato fanno lievitare la domanda di servizi e prestazioni sanitarie (anche se inefficaci, inappropriati o addirittura dannosi), dall’altro non sono particolarmente inclini a modificare stili di vita poco salubri”.

In questo clima nasce un mostro: la legge sull’autonomia differenziata che va “in direzione ostinata e contraria” agli obiettivi del PNRR trasversali a tutte le missioni, che prevedono di ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali. Meno male che c’è stato il Referendum.






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