venerdì 25 ottobre 2024

I morti sul lavoro sono più dell’anno scorso



Articolo da Berlin89

Tre morti al giorno sul lavoro, ai quali però ci si dimentica di aggiungere i circa cinque decessi quotidiani per malattie professionali, sono cifre pesanti . I morti sul lavoro sono più dell’anno scorso, mentre la tutela delle vittime è ferma al 1965. Nel periodo gennaio-agosto 2024 i morti denunciati sono stati 680 in crescita del 3,5 per cento rispetto agli otto mesi dell’anno scorso, quando ne erano stati registrati 657.

Tuttavia, fonti ufficiose ipotizzano che circa un terzo degli infortuni mortali sul lavoro rimanga sottotraccia, non censito. Infatti, sono sempre più frequenti i casi di occultamento di cadavere o di simulazione di incidente al di fuori del luogo di lavoro che, riguardano gli immigrati. Il ministero del Lavoro, contattato per avere il totale globale dei morti, non fornisce numeri né stime, rimandando ai soli dati Inail.

Eppure non ci vuole molto a capire, che gli infortuni mortali sono alimentati da competitività, precarietà e modelli sempre più flessibili di organizzazione del lavoro e della produzione. La salute e la sicurezza dei lavoratori, ossia la protezione contro gli incidenti e le malattie professionali, sono sempre più subordinate alla “salute” dei bilanci e alla sicurezza del profitto aziendale.

Oggi, molto più di ieri, tra lavoratori e imprese il rapporto è strutturalmente asimmetrico. È più forte il potere del padronato, poiché soltanto gli acquirenti di forza lavoro possono — più di ieri — perseguire strategie che ,mirano ad indebolire la controparte, vuoi ricorrendo alle tecnologie che riducono il personale, vuoi delocalizzando gli investimenti e altro ancora. comei metodi in uso (in moltissime aziende) che attivano meccanismi interiorizzati di punizione e di ricompensa, simili a quelli per l’addestramento dei cani. Se poi si pensa che in Italia c’è una media di tre morti bianche al giorno — 1147 nel 2023 — quasi sempre a causa delle condizioni nelle quali il lavoro viene svolto, il quadro si completa.

La verità è che, nell’èra del neoliberismo nella quale viviamo, l’aristocrazia e i vassalli hanno soltanto cambiato nome, ma il sempre peggio rimane, poiché le condizioni sociali — struttura familiare, livello di istruzione, welfare basati sulla verifica del reddito — hanno confermato la povertà in aumento. Con le quarantene si sono radicate nel mondo del lavoro delle realtà scioccanti, con il capitalismo-postfordista, che ha calcato la mano sul Flexible Capitalism, il nuovo regime di accumulazione basato sulla flessibilità del rapporto di lavoro. Flessibilità che sta — l’abbiamo imparato in fretta — per precarietà, in un mondo postindustriale dove da quattro lustri a questa parte non si parla più, come ha scritto il sociologo Ulrich Beck, di “divisione del lavoro, bensì di divisione della disoccupazione.”.

Vite spezzate dal lavoro: nelle fabbriche schiacciate dalle presse, sui tralicci e sui ponteggi folgorate da scariche elettriche, nei campi travolte da rimorchi e trattori, nelle cave inghiottite da sabbia e terra, nei cantieri precipitate dalle impalcature, sulle strade accartocciate in macchine e furgoni.  L’intensificazione dei ritmi lavorativi, in risposta alle pressioni competitive, ha inciso in modo significativo sullo stato di salute psico-fisico dei lavoratori, mettendo a rischio la loro incolumità dentro e fuori i luoghi di lavoro.

Negli ultimi cinquant'anni abbiamo assistito alla devastazione delle forme tradizionali di lavoro. Beninteso, la forma del lavoro salariato, sotto il modello taylorista-fordista, caratteristico del XX secolo, conteneva sfruttamento, alienazione e costrizione. Tuttavia, era stato forgiato e regolato da innumerevoli lotte portate avanti da coloro che lavoravano per sopravvivere, fin dalla Rivoluzione Industriale. Oggi è diverso.


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Fonte: Berlin89

Autore: Vincenzo Maddaloni

Licenza: This work is licensed under Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International

Articolo tratto interamente da 
Berlin89


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