lunedì 14 ottobre 2024

Contro la militarizzazione della scuola



Articolo da Valori

“La scuola va alla guerra” è il titolo di un volume uscito a gennaio di quest’anno per Manifestolibri. L’autore è Antonio Mazzeo, giornalista e peace researcher, che da anni scrive articoli e saggi, realizza inchieste, raccoglie documentazione, partecipa a incontri ed eventi in tutt’Italia per denunciare il rischio della militarizzazione dell’istruzione. «È un processo – spiega Mazzeo, che insegna educazione fisica alle medie a Messina – che non ha risparmiato nessuna fascia generazionale».

Quando ha iniziato a occuparsi di militarismo?

Con il movimento per la pace. Sin dall’adolescenza, quando seguii la lotta contro l’installazione dei missili nucleari Cruise nella base di Comiso. Come ricercatore e giornalista ho seguito innanzitutto i processi di militarizzazione in Sicilia, poi in tutto il Paese.

Come ha capito che era un fenomeno di portata nazionale?

Credevo si trattasse di anomalie legate a singole scuole che, subendo la pressione di territori particolarmente militarizzati, aprivano l’istituzione scolastica alla presenza delle forze armate: eventi sporadici, spesso dedicati a temi non prettamente militari, che però registravano una presenza crescente di rappresentanti delle forze armate. Poi, raccogliendo documentazione e segnalazioni, ho preso coscienza che non era così: c’era dietro un preciso progetto.

Come ha preso forma il tentativo di militarizzare la scuola?

Si è sviluppato negli ultimi 15-20 anni, anche se per molto tempo se n’è parlato poco. Ha interessato tutta la scuola, da quella dell’infanzia a quella secondaria di secondo grado, fino ormai all’università. Sono stati firmati protocolli, il primo a livello nazionale è del 2014, e definiti accordi quadro tra i ministeri dell’Istruzione e della Difesa. A volte è stato coinvolto anche il ministero del Lavoro, ad esempio per i percorsi di alternanza scuola-lavoro, oggi PCTO, che prevedevano la presenza degli studenti in basi e infrastrutture militari, anche dentro le maggiori aziende del comparto militare-industriale.

Perché si vuole “invadere” la scuola?

L’obiettivo strategico è affermare la cultura della difesa e della sicurezza, espressione che si trova ormai in tutti i documenti strategici delle forze armate. Si vuole il consenso delle nuove generazioni su un modello di forze armate che intervengono a 360°: sia all’estero, nelle varie missioni internazionali, sia all’interno, in sfere una volta non di loro competenza.

Lei è stato fra i protagonisti del lancio dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Com’è nata l’idea?

Su invito di centri di formazione per insegnanti, come il Centro Studi per la Scuola Pubblica (Cesp), o di organizzazioni come Pax Christi, ho iniziato a tenere un po’ in tutt’Italia corsi di formazione per il personale scolastico sulla militarizzazione del mondo dell’istruzione. È emersa così l’esigenza, da parte di insegnanti, intellettuali, sindacalisti, di strutturarsi. Sia per organizzare meglio la raccolta e sistematizzazione di documentazione, sia per costruire momenti di opposizione concreta.

A marzo 2023 alla Camera dei Deputati è stato lanciato un appello, firmato da un centinaio tra docenti di scuola pubblica e universitari, da cui è nato l’Osservatorio. Che oggi è un punto di riferimento per il mondo della scuola ma anche per quel mondo politico e sociale più impegnato contro i processi di militarizzazione e riarmo e contro la guerra. L’Osservatorio organizza anche campagne, come quella dello scorso anno contro Giochi Preziosi che voleva proporre zainetti per la scuola con i loghi degli apparati d’élite delle forze armate. O la campagna per chiedere le dimissioni dei rettori delle università pubbliche italiane aderenti alla Fondazione Med-Or legata a Leonardo, principale azienda italiana produttrice di armi.


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Fonte: Valori

Autore: 
Andrea Di Turi


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Articolo tratto interamente da 
Valori


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