Articolo da Il Menabò di Etica ed Economia
Il tema della povertà è di grande attualità, non solo per le ripercussioni della pandemia, ma soprattutto perché l’uscita dalla Grande Recessione è stata caratterizzata da tassi di povertà elevati e persistenti in molti paesi europei, tra cui l’Italia, nonostante l’impegno delle autorità europee e delle istituzioni nazionali di contrastare il fenomeno. Analizzare il problema da una prospettiva europea presenta alcuni vantaggi, tra cui l’opportunità di inquadrare il ruolo delle politiche pubbliche e la possibilità di collocare il caso italiano in un contesto più ampio. Di seguito riflettiamo su questo tema prendendo spunti da due nostri recenti studi.
La Strategia Europa 2020 promossa dalla Commissione Europea nel 2010 si era posta l’obiettivo di far uscire dal rischio di povertà o esclusione sociale almeno 20 milioni di individui in Europa. Nonostante alcuni miglioramenti, il numero di poveri alla fine del decennio pre-pandemico è rimasto elevato (passando dai 116.5 milioni del 2010 ai 107.5 milioni del 2019 secondo i dati Eurostat) ed in alcuni paesi (tra cui, i paesi del mediterraneo, la Svezia, i Paesi Bassi) il tasso di povertà è addirittura aumentato. A questo proposito, ci ricorda Stephen Jenkins, i postumi della Grande Recessione e delle politiche di austerità, così come la deregolamentazione del mercato del lavoro hanno svolto un ruolo importante nel frenare la riuscita degli obiettivi della Strategia 2020. Considerata l’importanza e la persistenza di elevati livelli di povertà, la sua riduzione è stata ripresa negli obiettivi dell’Agenda ONU 2030. Proprio il primo obiettivo, tra i 17 proposti, si pone di ‘porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo’.
I nostri due studi analizzano da una prospettiva micro aspetti della povertà, che seppur diversi tra loro, conducono ad alcune riflessioni comuni. Nel nostro primo studio, in corso di pubblicazione su Journal of Economic Inequality, analizziamo come siano cambiati tra periodo pre e post Grande Recessione i meccanismi che determinano il rischio di povertà, con particolare riguardo al ruolo della dipendenza dal precedente stato di povertà. Nel secondo studio ci concentriamo sui possibili eventi scatenanti la condizione di povertà con particolare attenzione all’effetto della nascita di un figlio. In entrambi i casi, sottolineiamo il ruolo delle politiche pubbliche come possibile fattore di contrasto della povertà, evidenziando l’importanza della spesa pubblica per le famiglie.
Nel primo studio, abbiamo analizzato l’evoluzione delle cause del rischio di povertà in Europa confrontando il periodo precedente la Grande Recessione (2005-2008) con un periodo successivo (2015-2018). Uno dei risultati più rilevanti suggerisce che nel periodo post-crisi è aumentata la dipendenza di stato, che individua quanto la probabilità di essere poveri nell’anno corrente dipenda dall’essere stati poveri nell’anno precedente. Questa componente incorpora una serie di ‘meccanismi-trappola’ associati alla povertà, tra cui la perdita di motivazione, il deprezzamento del capitale umano, oppure il possibile ruolo disincentivante indotto dalla ricezione dei trasferimenti sociali. Individuare correttamente l’entità della dipendenza di stato è importante, quindi, per identificare il ruolo di una fonte rilevante di persistenza nella condizione di povertà.
D’altra parte, l’aumento della dipendenza di stato suggerisce che l’uscita dalla Grande Recessione sia stata accompagnata da un irrobustimento dei meccanismi-trappola citati sopra e abbia, in definitiva, determinato una maggiore difficoltà delle persone povere di affrancarsi dalla situazione di svantaggio.
Da un lato, le evidenze trovate confermano il ruolo di politiche implementate per assistere i poveri aiutando individui e rispettive famiglie a superare la soglia di povertà, tra le quali trasferimenti monetari, che devono trovare rinnovata importanza proprio nell’attuale contesto, considerando il loro potenziale effetto di riduzione della persistenza della povertà.
Dall’altro, i risultati enfatizzano che malgrado le intenzioni della Strategia Europa 2020, i programmi anti povertà implementati non sono stati in grado di combattere il circolo vizioso mediante il quale la povertà si autoalimenta, dimostrato anche dal crescente effetto scarring, per cui la persistenza nella povertà determina una condizione di marginalizzazione di lungo periodo. Tale vortice negativo può essere determinato da vari fattori, quali scarse misure di supporto alla povertà, difficoltà di reinserimento nell’occupazione soprattutto a causa del deprezzamento del capitale umano e conseguente disoccupazione di lunga durata, nonché la diffusione di lavori scarsamente retribuiti.
Lo studio, inoltre, mette in luce come nel periodo successivo alla Grande Recessione sia aumentato il ruolo ‘protettivo’ del lavoro stabile, e contestualmente si sia ridimensionato il ruolo anti povertà giocato dall’istruzione terziaria, in linea con una tendenza di medio-lungo periodo piuttosto marcata. Questi due risultati rimandano all’importanza di intervenire sulla condizione dei giovani i quali, in modo sempre più evidente, risultano stretti tra la difficoltà di assicurarsi il ruolo protettivo di un’occupazione stabile e il declino
dell’investimento in istruzione quale fattore in grado di assicurare redditi sempre soddisfacenti.
Un altro aspetto importante è che l’evoluzione della dipendenza nella condizione di povertà risulta eterogenea tra i Paesi europei. Il contesto macroeconomico e le caratteristiche istituzionali di ogni paese sembrano avere svolto un ruolo rilevante nel determinare sia la condizione di povertà, che la probabilità di uscire da tale stato. Nell’approfondire questa eterogeneità, emergono delle correlazioni abbastanza chiare tra l’andamento della dipendenza di stato e l’andamento di alcune variabili di contesto/macroeconomiche. Nel decennio analizzato, l’aumento della dipendenza di stato è stato associato all’aumento del PIL, a testimonianza del fatto che la crescita economica post Grande Recessione si è ripartita in modo piuttosto diseguale all’interno dei singoli paesi europei. Allo stesso tempo, l’aumento della dipendenza di stato mostra un’associazione moderata ma positiva con l’aumento della diffusione del lavoro temporaneo, confermando il ruolo importante giocato dal mercato del lavoro per la condizione di povertà. Infine, l’aumento della spesa per trasferimenti sociali ha determinato una riduzione della dipendenza di stato. In questo ambito, tuttavia, le varie funzioni di prestazione sociale non giocano un ruolo omogeneo. L’aumento di buona parte di queste funzioni (disabilità, malattia, disoccupazione, esclusione sociale) è correlato debolmente con la riduzione della dipendenza di stato. Al contrario, l’aumento della spesa sociale per famiglie e figli si associa nettamente con la riduzione della dipendenza di stato.
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Fonte: Il Menabò di Etica ed Economia
Autori: Chiara Mussida - Dario Sciulli
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Articolo tratto interamente da Il Menabò di Etica ed Economia
La povertà è elevata ovunque.
RispondiEliminaQuesti dati non possono dare un effettivo punto di vista globale perché le implicazioni personali sono infinite e diversificate.
Gli aiuti dovrebbero provenire dal creare posti di lavoro reali e duraturi. Tutto il resto inutile ed a volte addirittura deleterio.
Comunque grazie di questo tuo interessante post Vincenzo. Ciao e buona serata.
I ricchi hanno aumentato i loro profitti, mentre tanti sono piombati nella povertà più assoluta.
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