domenica 12 settembre 2021

L’Afghanistan 20 anni dopo



Articolo da Open Migration

L'11 settembre del 2001 gli attentati alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono di Washington spinsero l'amministrazione Bush a dichiarare guerra all'Afghanistan dei Talebani. 20 anni dopo, quel regime, che si credeva sconfitto per sempre, è tornato al potere. Nel mezzo 20 anni di guerra, distruzione ed economia al collasso, con il popolo afghano ad aver pagato le conseguenze più grandi. Nell'anniversario di quegli attentati che sconvolsero il mondo, e con le immagini della resa di Kabul ancora negli occhi, abbiamo chiesto a Giuliano Battiston di fare il punto della situazione.

Nel ventesimo anniversario dell’11 settembre, i Talebani governano l’Afghanistan, un Paese che, secondo Deborah Lyons, rappresentante del segretario generale dell’Onu, è sul rischio di un “cedimento totale” e in cui secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, il 97 per cento della popolazione potrebbe finire sotto il livello di povertà.  

I Talebani sono tornati al potere dopo una lunga resistenza alle truppe straniere e una rapida offensiva militare che, insieme a un’attenta strategia di accordi e cooptazione, tra il 14 e il 15 agosto li ha condotti a conquistare anche Kabul, la capitale del Paese. Celebrano la vittoria, ma i trentacinque milioni di abitanti non hanno molto da celebrare. Su di loro si sono riversati gli effetti di un avvenimento lontano, accaduto a New York, dove l’11 settembre del 2001 sono state colpite le Torri Gemelle, e a Washington, dove è stata colpita la sede del Pentagono. Responsabili non erano gli afghani e non lo erano i Talebani. Arrivati al potere nel 1996, hanno ereditato un ospite che era già nel Paese, al momento dell’instaurazione del loro Emirato islamico.  

I rapporti con Osama bin Laden, spiegano i ricercatori più attenti, o le stesse autobiografie degli studenti coranici come quella dell’ex ambasciatore in Pakistan, non sono mai stati semplici. Ai Talebani, la cui matrice era legata alla cultura pashtun del sud dell’Afghanistan, non piaceva l’ambizione globale del rampollo della ricca famiglia saudita. Dissidi, discussioni e divisioni erano ordinarie, come d’altronde è sempre accaduto tra i jihadisti votati a colpire il “nemico lontano” e quelli con  un’agenda locale, preoccupati del “nemico vicino”, in  casa. 

I rapporti sono diventati più complicati dopo l’11 settembre, quando la leadership del movimento dei turbanti neri si è divisa  sull’eventualità di consegnare o meno lo sceicco saudita a Washington. Prevalse la linea del no, e prevalse il rifiuto da parte degli Stati Uniti di accogliere le controproposte dei Talebani: prima le prove, poi Bin Laden; un processo con le autorità e i giudici di tre governi islamici; l’impegno a rompere qualunque legame con al-Qaeda (lo stesso sottoscritto, con parole diverse, nell’accordo bilaterale firmato con gli Stati Uniti a Doha, il 29 febbraio 2020).

I Talebani – questa la posizione maggioritaria – non potevano consegnare Bin Laden: farlo avrebbe inficiato la loro pretesa di sovranità, la stessa che rivendicano oggi e che renderà particolarmente turbolenti le relazioni con la comunità internazionale. L’amministrazione Bush non poteva aspettare: serviva una prova muscolare. Quella che il governo degli Stati Uniti ha presentato come una “guerra giusta” è stata invece percepita come un’ingiusta rappresaglia dai Talebani e dalla gran parte della popolazione. “Avete sbagliato bersaglio”, hanno ripetuto in questi anni tanti afghani e afghane. La guerra andava condotta altrove. In Arabia saudita, da dove venivano molti degli organizzatori e degli esecutori degli attentati; in Pakistan, dove a lungo si è flirtato con i gruppi jihadisti. Dovunque. Ma non in Afghanistan, che nel 2001, al momento dell’intervento armato che avrebbe condotto al rovesciamento dell’Emirato islamico, scontava un forte isolamento internazionale, attraversava una gravissima siccità, preliminare alla carestia.

Oggi che i Talebani hanno formato un nuovo governo, composto da esponenti della vecchia guardia e da nuovi comandanti militari, per la popolazione il bilancio dell’intervento militare è drammatico. Sono tre gli aspetti più preoccupanti: la crisi umanitaria, l’economia in caduta libera, la spinta migratoria, interna ed esterna. A  quest’ultimo aspetto dedicheremo però un altro articolo, tra pochi giorni. 

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Fonte: Open Migration


Autore: 
Giuliano Battiston

Licenza: Licenza Creative Commons
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Articolo tratto interamente da 
Open Migration


2 commenti:

  1. L'America ha bombardato l'Afghanistan ha fatto migliaia di vittime ma ha perso la guerra. Ora deve risarcire questo popolo pagandone i debiti.

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    1. In eredità ha lasciato un Paese distrutto, con i talebani di nuovo al potere.

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