Articolo da Wired
Alla vigilia del 35esimo anniversario del peggior incidente nucleare della storia, due studi su Science approfondiscono le conseguenze che ha avuto sulla salute delle popolazioni raggiunte dalle nubi radioattive liberate dall’esplosione della centrale
Ormai 35 anni fa avveniva il più famoso incidente nucleare della storia. Il disastro di Chernobyl, l’esplosione del reattore numero 4 dell’omonima centrale sovietica che disperse nubi di polveri radioattive in un’area di decine di chilometri, provocando decine di morti accertate e migliaia (se non milioni) di decessi collaterali dovuti a tumori e altri problemi di salute, mai completamente mappati ufficialmente. A più di tre decenni da una tragedia che gettò in allarme l’intero continente, gli effetti a lungo termine sulla salute delle popolazioni raggiunte dalla nube radioattiva emessa dalla centrale non sono ancora stati chiariti del tutto. Due nuove ricerche, pubblicate su Science, aggiungono un tassello importante, che aiuterà a guidare le scelte di salute pubblica in caso di nuovi incidenti. Un’eventualità impossibile da scongiurare completamente, come ci ha ricordato appena 10 anni fa il disastro di Fukushima, unico altro incidente nucleare a meritare la classificazione al livello più alto (il settimo) dell’International Nuclear and radiological Event Scale (Ines).
Chernobyl e tumori
Il primo aspetto riguarda il legame tra radiazioni ionizzanti e tumori, un collegamento ovvio, ma non facile da studiare. I dati epidemiologici disponibili avevano fatto emergere già in passato una maggiore incidenza di carcinomi papillari della tiroide nella popolazione delle aree direttamente coinvolte dall’incidente, un’ampia zona tra Ucraina, Bielorussia ed ex territori dell’Urss. È noto inoltre che lo iodio radioattivo, uno dei più pericolosi materiali diffusi da esplosioni ed incidenti atomici, tende a depositarsi su pascoli e coltivazioni in seguito ai fallout nucleari, può essere ingerito attraverso il latte o il consumo di vegetali e si concentra quindi nella tiroide rappresentando un rischio, soprattutto nei primi anni di vita, per lo sviluppo di tumori. Mancava però la pistola fumante, per così dire, perché non esistono marker biologici che permettono di distinguere un tumore causato da radiazioni da uno sviluppatosi naturalmente o per l’esposizione ad altri tipi di inquinanti, ed è quindi difficile studiare esattamente la prevalenza del problema, e identificare i meccanismi con cui le radiazioni provocano lo sviluppo delle neoplasie.
Per questo, nel nuovo lavoro un team di ricerca internazionale ha deciso di cercare una firma delle mutazioni tumorali indotte dall’esposizione alle radiazioni, integrando dati genomici, epigenomici e trascrittomici (cioè l’analisi di tutti gli rna trascritti a partire da un genoma), analizzando campioni provenienti da oltre 400 cittadini ucraini che hanno sviluppato un tumore della tiroide negli anni seguenti al disastro di Chernobyl, e altri 81 con lo stesso tipo di neoplasia nati a sufficiente distanza temporale dall’incidente da non essere stati raggiunti dalle radiazioni.
I risultati dell’analisi hanno permesso di identificare il meccanismo più probabile con cui le radiazioni inducono la comparsa del carcinoma papillare della tiroide: si tratta di un tipo di danno al dna definito rottura del doppio filamento (o Double-Strand-Break), estremamente difficile da riparare per le cellule, che nella popolazione studiata è risultato più comune al crescere della dose di radiazioni a cui si è stati sottoposti e in caso di esposizione in giovane età. La ricerca – scrivono i suoi autori – non ha permesso di ottenere un biomarcatore univoco per i tumori indotti dalle radiazioni, ma offre risultati importanti nell’ambito della salute pubblica per la gestione di pazienti esposti a dosi non particolarmente elevate di radiazioni, confermando che un punteggio poligenico di rischio (un approccio che calcola le probabilità di sviluppare un tumore a partire dal panorama genetico del singolo paziente) è uno strumento utile per individuare le persone che hanno maggiori pericoli in caso di esposizioni alle radiazioni in tenera età.
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Fonte: Wired
Autore: Simone Valesini
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Articolo tratto interamente da Wired
Ricordo quei giorni e le tante paure legate a Chernobyl. In particolare, ricordo mio padre, che amava coltivare il giardino e il dispiacere per aver dovuto buttare tutti i prodotti dell'orto. E poi ricordo le lunghe giornate in classe, col sole fuori, senza poter portare fuori i bambini a giocare un momento , per paura delle radiazioni. Che tempi !! Buona serata.
RispondiEliminaNon si poteva neanche bere il latte fresco.
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