sabato 8 ottobre 2016
Torna alla luce la storia sommersa della tratta degli schiavi
Articolo da Voci Globali
La storia della tratta degli schiavi, quella sommersa sul fondo dell’Oceano Atlantico, ha ancora molto da raccontare. Da qualche tempo è esploso l’interesse al ritrovamento e al recupero delle navi negriere affondate al largo delle coste africane con il loro carico di merci – comprese quelle umane – mentre erano dirette nelle Americhe. Tre secoli è durato quello che può essere definito un genocidio sistematico, comunque un commercio tanto vergognoso quanto lucroso.
La prima di una serie di scoperte che possono riaprire lo studio e la riflessione sulla schiavitù è stata, nel 2015, la São José-Paquete de Africa, nave che apparteneva al Regno del Portogallo e affondò al largo di Cape Town in Sud Africa nel 1794. Almeno 200, dei 400 o 500 uomini in catene che erano a bordo, morirono. Oggi alcuni resti del ritrovamento si trovano all’Iziko Museums del Sud Africa, altri saranno destinati al National Museum of African American History and Culture a Washington, la cui apertura è prevista per il 24 settembre prossimo. Il ritrovamento rientra in un progetto più ampio – Slave Wrecks Project – che oltre al Sud Africa e al Nord America interessa anche altri Paesi: Mozambico, Senegal, Cuba, Brasile.
La nave portoghese potrebbe essere solo la prima, appunto. Se altre ricerche solleciteranno interesse e, soprattutto, l’accesso a fondi che, per la natura stessa dei progetti, sono di certo cospicui.
Intanto, qualcosa si muove anche in Senegal grazie alla passione di un archeologo del posto, Ibrahima Thiaw. In un’intervista al The Washington Post Thiaw spiega perché e come da giovane proveniente da un’area rurale del Paese è riuscito a laurearsi, ottenere un dottorato all’Università di Houston e cominciare la formazione in archeologia, immersione e ritrovamenti di resti di imbarcazioni usate per la tratta sul fondo dell’Oceano, ad alcuni studenti dell’Università di Dakar. Lo scopo: portare alla luce quelle navi affondate al largo del suo Paese. Molte delle ricerche compiute dall’archeologo senegalese sono state svolte sull’isola di Goree, al largo del Senegal, isola tristemente nota per il passaggio degli schiavi diretti dall’altra parte del mondo e la cui odissea è raccontata alla Maison des Esclaves, costruita nel 1776 dagli olandesi e oggi patrimonio dell’UNESCO.
Ma in realtà l’intera costa dell’Africa Occidentale è disseminata di forti e luoghi che erano destinati al commercio di esseri umani.
Si calcolano 12,5 milioni di persone strappate alla loro terre e alle loro case per diventare manodopera sfruttata fino alla morte nelle piantagioni di cotone, riso, zucchero e tabacco delle Americhe e dei Caraibi. Alle marce forzate attraverso i territori interni, prima di arrivare sulle coste per gli imbarchi, ne sopravvissero 10,7 milioni. Gli altri morirono marciando, di botte, di stenti o sommersi dall’Oceano.
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Fonte: Voci Globali
Autore: Antonella Sinopoli
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Articolo tratto interamente da Voci Globali
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