Articolo da GlobalProject
#BlackMonday Non stiamo parlando dell’espressione comunemente utilizzata per indicare i crolli finanziari, ma della parola d’ordine che nella giornata di ieri è rimbalzata nella rete in tutto il mondo e nelle strade di numerose città della Polonia. Un lunedì di sciopero generale delle donne, invitate a non presentarsi nei luoghi di lavoro o studio e a vestirsi con indumenti black, per protestare contro una proposta di legge che - di fatto - andrà a vietare la possibilità di abortire.
La situazione attuale e la proposta di legge contro l’aborto
Attualmente in Polonia vige una legge già altamente restrittiva nei confronti dell’interruzione di gravidanza, prevista entro la 25ma settimana in pochissimi casi:
- pericolo di vita per la madre
- malformazioni gravi del feto
- gravidanza come frutto di stupro e incesto
Prevede fino a 2 anni di carcere per le donne e i medici che subiscono e praticano l’IVG (utilizziamo la nomenclatura italiana ndA) fuori dai termini consentiti. Malgrado il pericolo di finire in galera, le associazioni femministe e che si occupano di diritti per le donne indicano come gli aborti illegali in Polonia arrivino a cifre intorno ai 150.000, a fronte di quelli legali che si attestano intorno ai 2.000.
Ovviamente solo le donne che possono permetterselo sono in grado di oltrepassare il confine per poter accedere all’IVG nei paesi limitrofi (Slovacchia, Repubblica Ceca, Germania o Ucraina) mentre le altre continuano a subire interventi pericolosi e clandestini.
Nell’ultimo anno una “coalizione” di associazioni e gruppi cattolici - sotto il nome di Stop Abortion - ha promosso una petizione per chiedere “la tutela della vita a partire dal concepimento” - in altre parole di vietare la possibilità di interrompere una gravidanza in nome della tutela dell’embrione. La possibilità di abortire sarebbe garantita solo in caso di pericolo di vita della madre. Inoltre, chiede l’inasprimento della pena per chi praticasse l’IVG al di fuori della legge, portandola da 2 a 5 anni.
Gli antiabortisti hanno raccolto oltre 450mila firme determinando la possibilità che la loro proposta fosse valutata dal Governo - che dall’Ottobre 2015 è guidato dalla Prima Ministra Beata Szydlo del partito di destra Diritto e Giustizia (PiS). La Szydlo, così come il Presidente del PiS Kaczyński, all’epoca aveva espresso appoggio individuale - non formale da parte del Partito - alla proposta di legge popolare, in quanto rientrava nei piani di un “ritorno alla tradizione” promosso ed espresso durante la campagna elettorale. Le elezioni dello scorso anno sono state le prime - dal’89 - in cui nessuna forza politica di sinistra è riuscita ad ottenere abbastanza voti per entrare in Parlamento, determinando un Governo conservatore euro-scettico e xenofobo.
Il 23 settembre scorso la Camera Bassa (Sejm) ha votato a favore della proposta di legge antiabortista, con 267 voti a favore su 460 (il PiS ha la maggioranza con 242 deputati).
Nella regione sud-orientale della Podkarpackie - dove PIS e la Chiesa godono di un forte supporto - ospedali e medici hanno firmato una "dichiarazione di coscienza" e si rifiutano di effettuare aborti - anche se all’interno dei termini di legge.
Se la legge dovesse superare i prossimi passaggi parlamentari la Polonia si troverebbe, con Malta e lo Stato Vaticano, ad avere una delle leggi sull’aborto più restrittive d’Europa.
Le proteste
Le donne - e gli uomini - contrarie alla proposta di legge si sono mobilitate fin dall’Aprile 2015 quando, a Varsavia, migliaia di persone si sono ritrovate a protestare di fronte al Parlamento. Le mobilitazioni sono continuate durante il mese di Settembre, in previsione e durante il voto nel Sejm, per sfociare nell’indizione di uno sciopero generale delle donne per il 3 Ottobre. #BlackProtest #CzarnyProtest #BlackMonday hanno riempito i social network, allo stesso tempo molte città in tutto il mondo hanno accolto la richiesta di solidarietà che veniva dalle donne polacche organizzando presidi e indossando abiti neri.
La protesta si è ispirata allo sciopero del 24 Ottobre 1975 avvenuto in Islanda (Women’s Day Off), quando il 90% delle donne del paese ha smesso di lavorare per rendere evidente l’apporto delle stesse al funzionamento della società e - quindi - ottenere pari diritti.
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Fonte: GlobalProject
Autore: Gaia Alberti
Licenza: Creative Commons (non specificata la versione)
Articolo tratto interamente da GlobalProject
Per un passo avanti se ne fanno dieci indietro...
RispondiEliminaavanti così e quante donne moriranno per gli aborti clandestini? Già.. per quelli ci saranno sempre!