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lunedì 17 novembre 2025

Quattro rifiuti per una rivoluzione: il 4B sfida il patriarcato coreano



Articolo da DinamoPress

In Corea del Sud, tra capitalismo tecnologico e violenza digitale le donne alzano la voce contro secoli di patriarcato. Il movimento 4B rifiuta matrimonio, maternità e relazioni con gli uomini, trasformando scelte personali in atti di ribellione politica

È il 17 maggio 2016, e nel distretto di Seocho, a Seoul, capitale della Corea del Sud, una giovane donna viene accoltellata a morte da un uomo che non aveva mai incontrato prima. Arrestato, l’uomo ha dichiarato: «L’ho fatto perché le donne mi hanno sempre ignorato». Da quel giorno, quasi dieci anni fa, le donne della Corea del Sud hanno ricominciato a far sentire la propria voce, risvegliando le città da un lunghissimo sonno e portando a una svolta che ha scosso le fondamenta di un Paese che nasconde un’anima misogina poco raccontata, nutrita da secoli di esplicito sessismo culturale e caratterizzata da un moderno patriarcato istituzionalizzato.

Dietro le luci scintillanti dell’ipertecnologia e i rassicuranti colori pastello si nascondono gli scheletri di una società che non vuole confrontarsi con la questione di genere: dalle profonde disparità salariali agli assurdi standard di bellezza, dalla diffusissima violenza digitale delle spy-cam alla “caccia alla femminista radicale”, la Corea del Sud nasconde il suo vero volto, tra delirante progresso forzato e radicato ancoraggio al confucianesimo tradizionale.

Le donne parlano, le radici raccontano

La storia della Corea del Sud è anche la storia della lenta e coraggiosa lotta per l’emancipazione delle sue donne. Soggiogate da secoli di sottomissione confuciana e passate attraverso occupazioni imperialiste e governi sfruttatori, solo dopo la democratizzazione dagli anni Ottanta hanno potuto iniziare a sviluppare un percorso femminista identitario e politico.

Prima di quel momento le loro vite erano “vite al servizio” e poi, come accade da secoli ovunque nel mondo, a un certo punto le donne hanno detto basta.

Analizzando la storia del Paese, è nelle radici del suo neoconfucianesimo che si ritrova l’origine di tutto. Arrivato dalla Cina nell’epoca dei Tre Regni, raggiunge il suo apice durante la Dinastia Joseon che farà del neoconfucianesimo la propria base politica, etica ed educativa. Basato su una profonda enfasi sulla gerarchia, struttura sin dalle origini la società in rigide contrapposizioni dicotomiche: sovrano-sudditə, padre-figliə, fratello maggiore-minore e ovviamente marito-moglie. Su questa coercitiva logica di potere si basa, sin dal XIV secolo, la cultura patrilineare sudcoreana che struttura la famiglia a immagine e somiglianza dell’ordine politico, delineando i rapporti pubblici e privati uomo-donna in termini di obbedienza e subordinazione.

La donna diviene, di fatto, una proprietà da tramandare di famiglia in famiglia per il bene e la prosperità del regno. La castità (yeolnyeo) e la assoluta devozione al marito sono virtù supreme, così profondamente radicate che, per secoli, per essere considerate degne, le vedove potevano scegliere unicamente tra il ritiro solitario dalla società o il suicidio. Sorte migliore non spettava alle ragazze nubili, per le quali l’unica possibilità era il matrimonio. 

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Fonte: DinamoPress

Autore: Giada Sarra


Articolo tratto interamente da DinamoPress 

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