venerdì 4 settembre 2020

COVID-19: i diritti negati ai lavoratori domestici



Articolo da Global Voices

Secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), in tutto il mondo ci sono 67 milioni di lavoratori domestici [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione], l'80% dei quali sono donne. Il lavoro domestico si svolge nella sfera privata ed è spesso invisibile.

I lavoratori domestici puliscono, cucinano, si prendono cura dei bambini o dei membri anziani della famiglia, spesso senza un contratto o con scarse tutele legali. Nonostante siano “in prima linea” nella crisi del coronavirus, raramente vengono inclusi nei piani di risposta alla COVID-19.

Come se la passano le lavoratrici domestiche di tutto il mondo durante la pandemia e l'isolamento finalizzato a fermare la diffusione della COVID-19?

Nessuno stipendio per i lavoratori domestici in Argentina, Afghanistan e Indonesia

La maggior parte del lavoro domestico è informale, e questo lascia spesso i lavoratori in condizioni di vulnerabilità, specialmente in tempi di crisi come questi.

Secondo uno studio dell'Università di Lanús (UNLa) e del Centro di Studi e Ricerche sul Lavoro [es], in Argentina, dove il lockdown è durato oltre 100 giorni, circa il 70% dei lavoratori domestici [es] appartiene al settore informale.

Durante le attuali misure di isolamento, questo significa che non lavorare equivale a non guadagnare. Tuttavia, molte donne sono riuscite a raggiungere comunque il loro luogo di lavoro, nonostante non avessero il permesso di uscire durante la quarantena. Sempre secondo questo studio, dall'inizio della pandemia solo il 33% [es] dei lavoratori protetti da contratto ha ricevuto l'intero stipendio senza recarsi al lavoro.

Sempre in Argentina, la mancanza di certezza giuridica rende indubbiamente i lavoratori vulnerabili e reticenti a lamentarsi. Ad esempio, gli intervistati di uno stesso studio temevano di perdere il lavoro, di venire contagiati o di infettare i propri famigliari. Inoltre, un crescente numero di datori di lavoro è ricorso ad alcuni cavilli legali per spingerli a dimettersi, pagarli di meno o cambiare la loro categoria in “badanti”, così che potessero diventare “lavoratori essenziali”. Complessivamente, il sindacato ha rilevato [es] che il 70% dei lavoratori domestici è stato vittima di sfruttamento del lavoro durante la quarantena.

In Ecuador [es], la stragrande maggioranza dei lavoratori domestici svolge lavori senza contratto o con contratti che offrono scarsa protezione. Stando a quanto riporta il sindacato nazionale, quasi l’85% dei lavoratori domestici [es] è stato licenziato durante la pandemia.

In Tunisia, la lavoratrice domestica Salma ha dichiarato a Global Voices:

Siamo mani invisibili. Non viene dato valore al nostro lavoro. Non esistiamo né per le famiglie per cui lavoriamo, né tantomeno per lo Stato. Siamo stati i primi a perdere i nostri lavori a causa della COVID-19 e del lockdown e non abbiamo ricevuto alcun indennizzo o sostegno.

Anche quando ci sono, i contratti sono spesso vaghi o carenti. È il caso dell'Indonesia, che conta almeno 4.2 milioni di lavoratori domestici. Nel 2019, la Rete Nazionale per la Difesa dei Lavoratori Domestici indonesiana ha intervistato 668 lavoratori domestici in sette regioni del Paese, rilevando che il 98,2% degli intervistati guadagnava solo tra il 20 e il 30% del salario minimo indonesiano.

A volte anche i contratti con le grandi istituzioni possono andare storti. In Afghanistan, ad esempio, alle donne incaricate di pulire gli uffici del Ministero delle Finanze era stato inizialmente permesso di restare a casa continuando a essere pagate. Ma quando la situazione della COVID-19 si è aggravata, sono state costrette a tornare al lavoro, pena il rischio di perdere lo stipendio. Poiché sono loro a fornire il principale sostegno finanziario alle loro famiglie, sono tornate in ufficio. Fawzia, madre single di quattro figli, ha dichiarato a Global Voices:

Se ci teniamo al sicuro dal coronavirus, moriremo di fame.

Milioni di donne migranti puliscono le case in Medio Oriente e in Asia Sud-Orientale

In tutto il mondo, molte donne che puliscono, badano ai bambini e cucinano a pagamento sono emigrate in un altro Paese per trovare lavoro. Per esempio, si stima che in Medio Oriente ci siano 2.1 milioni di lavoratori domestici immigrati, la maggioranza dei quali sono donne provenienti da Paesi asiatici e africani quali Sri Lanka, Filippine, Bangladesh, Nepal, Indonesia, Kenya ed Etiopia.

In tutto il Medio Oriente, i lavoratori possono non essere pagati e, di conseguenza, molte lavoratrici domestiche migranti non sono in grado di inviare le rimesse a casa. Questo non solo si va a sommare alla pressione emozionale e psicologica di cui soffrono i lavoratori migranti, ma rappresenta anche una perdita di reddito per le famiglie rimaste nel Paese d'origine. Anche nelle comunità di immigrati filippini e indonesiani di Hong Kong i livelli di indebitamento sono aumentati durante la pandemia.

In città come Hong Kong o Singapore, il lavoro domestico dei migranti viene regolato separatamente. La legge richiede che i lavoratori domestici migranti vivano con i propri datori di lavoro. Questo significa che durante le settimane di isolamento, per loro restare a casa significava restare al lavoro anche nei giorni di riposo.

La crisi del COVID-19 ha scatenato ancora una volta un dibattito su questa legge della convivenza, che non solo vanifica la linea tra lavoro e vita personale, ma spesso comporta anche sistemazioni inadeguate, cibo insufficiente e mancanza di privacy e di sicurezza. Secondo un rapporto di ricerca condotto nel 2016 dal Centro di Giustizia di Hong Kong, il “66,3% dei lavoratori domestici migranti intervistati mostrava forti segni di sfruttamento, ma non c'erano abbastanza fattori che indicavano che fossero stati costretti ai lavori forzati”. È una zona grigia.

Sebbene il lockdown a Hong Kong non sia mai stato rigido, il governo ha ripetutamente e pubblicamente chiesto ai lavoratori domestici di restare a casa nei giorni di riposo tra gennaio e aprile, durante il picco della COVID-19. Alcuni lavoratori hanno riferito che se avessero lasciato il posto di lavoro durante i giorni di riposo, sarebbero stati costretti a dimettersi. Soltanto a inizio aprile, Law Chi-kwon, il Ministro del Lavoro e della Provvidenza Sociale, ha lanciato un appello sul suo blog sia ai lavoratori che ai datori di lavoro affinché “fossero comprensivi gli uni con gli altri riguardo agli accordi sui giorni di riposo”.

Nei Paesi del Golfo, la migrazione è regolata dal sistema della kafala. I visti per i lavoratori migranti sono vincolati ai datori di lavoro e ai migranti non è consentito lasciare o cambiare datore di lavoro senza il loro permesso. Se lo facessero, potrebbero essere arrestati e puniti per “latitanza” con sanzioni, detenzioni e deportazioni.

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Fonte: Global Voices


Autore: scritto da autori vari
 tradotto da 
Silvia Monti


Licenza: Creative Commons License
This work is licensed under a Creative Commons Attribution 3.0 Unported License.


Articolo tratto interamente da 
Global Voices 


6 commenti:

  1. Solo qualche Paese evoluto considera colf e badanti lavoratori di grande utilità.

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  2. certo in Medio Oriente è terribile la situazione dei lavoratori domestici, qui da noi è meglio ma non sempre è chiaro il rapporto tra datori di lavoro e lavoratori

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  3. La schiavitù è stata abolita, ma stiamo ritornando su quella strada. Buona domenica

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