La dinamica dell’eruzione del Monte Nuovo e la successione degli eventi è abbastanza ben conosciuta grazie ad una serie di testimonianze di alcuni personaggi e cronisti dell’epoca che, per la loro curiosità ed interesse scientifico, furono testimoni in prima persona del fenomeno, recandosi essi stessi sui luoghi dai quali invece gli altri fuggivano, similmente a quanto era avvenuto quindici secoli prima con Plinio il Vecchio durante l’eruzione del Vesuvio nell’anno 79 d.C. Benché la cronologia indicata dai diversi autori non sia sempre di immediata comprensione e la cadenza delle ore e della giornata non corrispondevano allora a quelle attuali, tuttavia dal confronto delle varie testimonianze tanto la dinamica che la sequenza delle diverse fasi eruttive risulta coerente e può essere riassunta come segue.
Sabato 28 settembre 1538: Il fenomeno si avviò intorno alle ore 12:00, allorché il mare si ritirò repentinamente di circa m 370, lasciando sulla riva moltissimi pesci agonizzanti che dai Puteolani, felici, furono raccolti "a carrettate"; è stato calcolato che questo ritiro corrisponda ad un moto bradisismico ascendente di almeno m 7,40.
Domenica 29 settembre: intorno alle ore 8:00 di mattina fu notato che nella piccola vallata posta fra il Monte Barbaro, l'Averno ed il mare, la terra si era abbassata di circa 2 canne ( = m 4,23), dal quale avvallamento fuoriuscì un piccolo torrente sia di acqua fredda e limpida che di acqua tiepida e sulfurea (dunque l'eruzione intaccò sia la falda freatica che vene di acque termali). Verso le ore 12:00 nello stesso avvallamento si andò formando invece un rigonfiamento del terreno, descritto dai cronisti dell'epoca che lo videro formarsi "come quando la pasta cresce"; continuando questo bozzo a crescere, vi si aprirono infine dei crepacci. Verso le ore 20:00 si aprì la prima voragine, il "cumulo di terra" collassò ed ebbe inizio l’eruzione. La piccola valletta si squarciò e dalla spaventosa buca cominciarono a fuoriuscire fuoco, fumo, pietre, cenere asciutta e soprattutto cenere fangosa, il tutto accompagnato da forti boati.
Lunedì 30 settembre (“primo giorno”): per tutta la notte si sentirono forti boati. I Puteolani, investiti dalla pioggia di cenere, fango e pietre, e dai tremori dei terremoti, fuggono verso Napoli. A Lucrino l’eruzione cancella progressivamente il Monticello del Pericolo ed il villaggio di Tripergole postovi sopra, e colma l'insenatura marina su cui questi si affacciavano; parimenti distrugge e seppellisce la sorgente termale chiamata "Bagno di Cicerone" (ovvero "Bagno del Prato") ed i corrispondenti resti della villa di Cicerone detta "Cumanum" (o "Academia"). In giornata il viceré Don Pedro di Toledo viene con tutta la sua corte, molti cavalieri e qualche filosofo ad osservare il fenomeno attestandosi però alla chiesetta di San Gennaro alla Solfatara sia perché il luogo è un punto di osservazione straordinario di tutti i Campi Flegrei, sia perché non era possibile avvicinarsi a Pozzuoli per la fitta caduta delle pietre eruttate.
Martedì 1 ottobre (“secondo giorno”): il Monte Nuovo finisce di formarsi nel giro di 48 ore. Nel frattempo da Napoli viene organizzata una processione con il prezioso busto contenente la reliquia della testa di San Gennaro.
Mercoledì 2 ottobre (“terzo giorno”): l'attività eruttiva si modera di molto e il monte diventa visibile quando fumo e ceneri cominciano a diradarsi. Il Toledo "con più persone" ne approfitta per salire sulla sommità del monte e guardare dentro la caldera.
Giovedì 3 ottobre (“quarto giorno”): tra le ore 15:00 e 16:00 nuova fase eruttiva, corta ma violentissima, tanto che "pietre grosse" raggiungono Nisida, spaventando non poco i barcaioli che lì stazionano.
Venerdì 4 ottobre (“quinto giorno”): il vulcano ritorna in uno stato di quiescenza ed emette solo "poco fumo". Il Marchesino è invogliato a recarsi di persona nei luoghi colpiti: vi si reca in barca attraccando a Pozzuoli per poi raggiungere il Monte Nuovo, salirci su, guardare dentro la caldera, ed infine dare uno sguardo a Lucrino e all’Averno.
Sabato 5 ottobre (“sesto giorno”): continua la fase quiescente del vulcano che emette "poco fumo". Il Marchesino scrive la sua lettera-relazione.
Domenica 6 ottobre (“settimo giorno”): sia la fase di apparente tranquillità del vulcano, che anche la giornata festiva invogliano numerose persone a scalare il nuovo cono. Ma nuovamente tra le ore 15:00 e 16:00 un'improvvisa e violenta esplosione, benché l'ultima, miete ben 24 vittime fra gli incauti scalatori.
I danni provocati dall'eruzione del Monte Nuovo furono piuttosto circoscritti e non andarono oltre il raggio di circa 1 km; i materiali eruttati ricaddero soprattutto in loco: Pozzuoli fu sepolta da 30 cm di ceneri, Napoli da 2 cm (quanto bastò per insudiciare i bei palazzi nobiliari), mentre le ceneri più leggere, portate dai venti, riuscirono a raggiungere il Cilento, la Calabria e le Puglie.
Probabilmente nei mesi (o negli anni) successivi all'eruzione il suolo ridiscese progressivamente: secondo alcuni ritornando alla quota che aveva nel 1530; secondo altri abbassandosi di circa 3 m.
Una tavola conservata al Museo di San Martino a Napoli (edita da E. Duchetti a Roma nel 1586) che ritrae una veduta generale a volo d'uccello dei Campi Flegrei da Posillipo fino a Cuma, mostra un lago Lucrino praticamente inesistente.
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