Articolo da Il Corsaro - l'altra informazione
Sono passati più di dodici anni da
quello storico giorno di marzo del 2001, quando, al termine della lunga
marcia zapatista, il subcomandante Marcos aveva gridato ad uno Zócalo
gremito “¡Democracia, justicia, libertad!”. E in queste settimane ancora
lo Zócalo, una delle piazze più grandi e belle dell’America latina, è
tornato ad essere occupato da proteste e manifestazioni. Città del
Messico da quasi un mese ribolle tra le lotte di studenti, insegnanti e
cittadini. Dallo scorso 19 agosto, in migliaia sono scesi in piazza
contro la riforma del sistema d'istruzione, proposta dal governo di Peña
Nieto.
Pomo della discordia sono le tre leggi
immaginate per trasformare il mondo dell’istruzione messicano ed
adeguarlo ai criteri internazionali. Leggi, invece, che i maestri
riuniti nel sindacato Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación
e i movimenti studenteschi ritengono peggiorative per un già mediocre
sistema formativo, perché accusate di compromettere la gratuità
dell’istruzione e di precarizzare fortemente lo status lavorativo dei
docenti. Inutile si è poi rivelata la proposta degli stessi insegnanti
che nei mesi scorsi, attraverso la costituzione di forum regionali di
discussione, avevano provato a presentare alcune proposte per modificare
il sistema educativo secondario. Il governo di Peña Nieto ha, al
contrario, mostrato sin da subito fermezza nell’andare avanti,
trincerandosi spesso dietro un Parlamento riunito in seduta speciale.
Da qui la mobilitazione s’è allargata, e
lo Zócalo s’è ingrossato sempre più. Fino al 1° settembre scorso,
quando organizzazioni sociali, movimenti della sinistra radicale,
studenti e gruppi del Movimento di Rigenerazione Nazionale, assieme agli
insegnanti del CNTE, hanno manifestato in una Città del Messico
blindata da migliaia di poliziotti, granaderos e federali; in
un clima di tensione e provocazione, in cui i disordini hanno causato
decine di feriti e sedici arresti. E per l’establishment politico legato a Nieto gli insegnanti sono diventati presto i cattivi maestri.
Ma dietro le manifestazioni consumatesi
in queste ore c’è tanto altro. C’è, innanzitutto, un’opposizione
sociale, assai eterogenea, che contesta le politiche del neo presidente
Enrique Peña Nieto. L’uomo nuovo del PRI a livello nazionale che
gestisce la cosa pubblica alla vecchia maniera, appoggiato dai maggiori
network televisivi e dall’oligarchia industriale del paese. Volto
patinato della politica messicana, che in campagna elettorale ha
affascinato e convinto l’elettorato, che non disdegna sfruttare le sue
capacità mediatiche, e quelle della moglie, nota attrice, né una certa
dote di autoritarismo nelle decisioni. In maniera speculare al suo
apprezzamento è montata presto l’onda della sua opposizione, come
testimonia il movimento #YoSoy132.
Ed oggi la situazione appare ancor più
in subbuglio. Perché quelle proteste inizialmente legate alla riforma
scolastica si sono trasformate in un movimento ben più ampio. Nodo,
forse ancor più cruciale, è diventato e sarà rappresentato, nelle
prossime settimane, dalla Riforma energetica, uno dei capitoli
principali del cosiddetto Pacto Para Mexico. Intenzione
professata da settimane da parte del presidente Nieto è l’apertura ai
privati del settore del petrolio e dell’elettricità: obiettivo
principale è consentire alle multinazionali estere lo sfruttamento delle
riserve controllate dalla compagnia petrolifera di stato Pemex
(Petróleos Mexicanos). L’azienda venne creata infatti dopo che l’intero
settore petrolifero fu nazionalizzato interamente da un decreto legge
del presidente Lázaro Cárdenas, il 18 marzo 1838. Da quel giorno, il 18
marzo è diventato el día de la expropriación petrolera ed oggi
oltre il 70% dei messicani è contrario al progetto di Nieto. “Pemex es
de Mexico y se defiende” si dice da quelle parti.
Queste di Nieto sono riforme che
appartengono sempre di più alla storia messicana del nuovo millennio;
corsi e ricorsi che parlano di selvaggio sfruttamento minerario,
cessione del patrimonio ambientale a progetti industriali incompiuti,
svendita delle proprie coste al turismo rapace, concessioni di favore
alle compagnie estere, fino al saccheggio della propria terra in nome di
un unidirezionale disegno di progresso; mentre i cartelli criminali del
narcotraffico, abili a mimetizzarsi e capaci di rigenerarsi, resistono
tra il sangue e i proiettili dei loro omicidi. Questo lo sanno e questo
denunciano i nahua di Santa María Ostula, gli ikoot di San Mateo del Mar, i coca del Jalisco e i guarijio
di Alamo, riuniti lo scorso 17 e 18 agosto sotto la guida dell’EZLN, a
San Cristobal de las Casas, in una sorta di internazionale dei popoli
indigeni. Pare che nemmeno loro vogliano smettere di lottare. “Siamo
indios, decisi a ricostituirci in un altro mondo possibile”. Così
dicono.
Autore: Alessandro Bonvini
Licenza:
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia.
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Articolo tratto interamente da Il Corsaro - l'altra informazione
Photo credit Eneas De Troya caricata su Flickr - licenza foto: Creative Commons
Caro Cavaliere, veramente un grande post! questa si che è informazione, caro amico grazie di tutte le informazioni che annunci sempre, primo!!!
RispondiEliminaTomaso