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giovedì 18 dicembre 2025

La società come fabbrica: vita, lavoro e controllo nell’era digitale



Articolo da Ibridamenti

Il saggio di Lelio Demichelis, Tecno-archía, o la Nave dei folli, pubblicato qualche mese da fa DeriveApprodi, si configura come una critica radicale e profonda della modernità tecnica e capitalistica contemporanea. Attraverso una definizione provocatoria – quella di “tecno-archía”, appunto – l’autore mette in luce come la razionalità strumentale, la tecnologia e il capitalismo non siano semplicemente strumenti, ma si siano consolidati in un potere ontologico totalizzante. Secondo Demichelis, questa tecno-archía agisce da tre secoli, guidata da logiche di profitto, digitalizzazione e sfruttamento, che oggi si manifestano con maggiore evidenza nella convergenza tra algoritmi, intelligenza artificiale e dipendenza umana dalle macchine. L’immagine scelta per descrivere questo sistema è quella della Nave dei folli di Hieronymus Bosch: un’umanità alla deriva, priva di timone, ma paradossalmente con vele spiegate verso obiettivi ben definiti, quelli dell’ecocidio e della mercificazione dell’esistenza. Il testo di Demichelis non si limita a una denuncia sociologica, ma propone una prospettiva di rottura anarchica (nel senso di anti-archica) e democratica, sostenendo che la liberazione da questo potere richiede non solo una critica teorica, ma una vera svolta politica e rivoluzionaria.

Tecno-archía di Lelio Demichelis è un libro che colpisce subito per il modo in cui attualizza il discorso sul potere tecnico, chiamando in causa attori, dinamiche e snodi concreti del nostro presente: l’autore fa nomi e cognomi, non si rifugia nel generico. Parla apertamente delle svolte anarcocapitaliste promosse dalle grandi aziende tecnologiche, che presentano sé stesse come forze libertarie mentre costruiscono apparati di dominio senza precedenti; si confronta con figure come Trump e Musk, ed evidenzia come il nuovo orizzonte politico statunitense e occidentale sia segnato dalla fusione tra retoriche anti-statali, deregolazione estrema, big-tech e finanza. Descrive la condizione in cui viviamo come un continuo stato di emergenza – spesso costruito o amplificato – funzionale al controllo sociale e alla legittimazione di misure sempre più invasive. In questo scenario, la tecno-archía non è solo un concetto astratto: è un fondamento che regge la nostra quotidianità, la politica, il modo in cui le società vengono governate, persino come la realtà viene percepita.

La riflessione di Demichelis trova alimento nella grande tradizione della filosofia continentale. La Scuola di Francoforte è un punto di riferimento costante, non solo per la critica della razionalità strumentale, ma soprattutto per l’intuizione, già presente in Adorno, Horkheimer e Marcuse, che il dominio moderno passi attraverso una riformattazione del linguaggio e dell’immaginario. Marcuse aveva già individuato come il linguaggio politico e mediatico tenda a semplificarsi, a diventare un linguaggio standardizzato, povero, asservito alla riproduzione dell’ordine capitalistico. Demichelis riprende e aggiorna questa analisi, mostrando come oggi la rialfabetizzazione passi per la pubblicità, per i best seller confezionati, per la comunicazione dei politici e – soprattutto – per gli algoritmi che selezionano ciò che vediamo, leggiamo, ascoltiamo. È una riscrittura del linguaggio che diventa riscrittura del pensiero, una forma di neolingua che richiama esplicitamente Orwell: la riduzione della complessità a slogan, meme, format facilmente digeribili, compatibili con la logica capitalistica della rapidità, della prevedibilità e dell’emozione istantanea. La tecno-archía, così, non solo governa, ma produce i codici con cui pensiamo il mondo.

La rete di riferimenti filosofici che Demichelis costruisce è ricchissima: accanto ai canonici Arendt (per il tema del totalitarismo, ma evidenzio anche il riferimento esplicito nel sottotitolo del libro, La banalità digitale del male), Weil, Anders, Schmitt, Severino e Heidegger, compaiono anche figure come Luxemburg, il cui senso rivoluzionario dell’azione è evocato come esempio di rottura non addomesticabile; Castoriadis, con la sua idea di autonomia e di immaginario sociale; Gramsci, per quanto per lo più criticato dall’autore; Ellul, tra i più lucidi critici del sistema tecnico; e, sul versante italiano contemporaneo, Cacciari e Galimberti, che l’autore richiama quando parla della struttura nichilistica del potere tecnico e dell’impoverimento antropologico provocato dalla tecnologia. Il libro è così un denso crocevia teorico, ma sempre al servizio di un’analisi puntuale del presente.

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Fonte: 
Ibridamenti

Articolo tratto interamente da Ibridamenti


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