Articolo da A ragion veduta - Il mondo osservato dall'Uaar
In Sicilia i medici obiettori di coscienza superano l’80%: una legge regionale vuole garantire l’accesso all’aborto ma il governo la impugna assecondando le lobby integraliste no-choice. Adele Orioli affronta il tema sul numero 5/2025 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.
Il Molise vanta il primato, oltre che di trite battute sulla sua incerta esistenza, del tasso di obiettori di coscienza per l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg): oltre il 90%. Segue a ruota la Sicilia, con più dell’80% fra ginecologi e personale sanitario che esercita l’opzione garantita da quasi cinquant’anni dalla legge 194/78.
Va detto come l’aborto, prima ancora di considerare le sue possibilità di applicazione concreta, non si presenti nel nostro ordinamento come autonomo diritto di autodeterminazione sessuale e riproduttiva, bensì è proprio dalla legge 194 enucleato come derivato da quello alla salute, intesa vuoi come fisica vuoi come psicologica. Ciò non toglie che sia quantomeno una procedura da garantire nella sanità pubblica, obbligatoriamente e a più livelli.
Per tornare al secondo gradino del podio: presieduta da Renato Schifani, la Sicilia in un indubbio scatto di buona amministrazione e la sua Assemblea hanno approvato (a scrutinio segreto…) la legge 23 del 5 giugno. Legge che prevede l’istituzione, ove non siano già presenti, di aree funzionali dedicate all’Ivg presso le unità operative di ginecologia e ostetricia nei presidi sanitari regionali. Inoltre, consente concorsi finalizzati a fornire personale esclusivamente non obiettore per le aree funzionali di cui sopra, nel caso (praticamente una certezza, al momento) che non ve ne siano in organico.
Sarebbe un’ottima notizia, con anche un precedente simile. Nel 2014 infatti l’allora governatore della regione Lazio, Zingaretti, come commissario ad acta, con decreto autorizzò un nosocomio romano a implementare di due unità i posti di un bando di concorso, purché fossero riservati a medici non obiettori.
Ci fu, è il caso di dire, un “apriti cielo” di contestazioni, a cominciare dall’allora ministro della salute che era guarda caso la Beatrice Lorenzin del famigerato “fertility day”; ma furono i movimenti antiscelta a impugnare il bando, per fortuna senza successo in entrambi i gradi di giudizio.
Ma torniamo in Sicilia, perché il governo nazionale, dando forse l’ennesima prova di una abilità da Uroboro (il mitologico serpente che si morde la coda), ha deciso di impugnare la legge davanti alla Corte costituzionale su proposta dei ministri Schillaci e Roccella, rispettivamente titolari dei dicasteri della salute e della famiglia. Al grido di «nessun problema per la applicazione della legge 194/78 in Sicilia» ritengono la normativa regionale foriera di inaccettabili discriminazioni, perché negherebbe l’accesso a un concorso pubblico sulla base di convinzioni etiche.

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