lunedì 10 febbraio 2025

"Fiume o morte!" di Igor Bezinović, un docufilm contro il revisionismo storico



Articolo da Giap - Il blog di Wu Ming

[WM: Fiume o morte! di Igor Bezinović, fresco vincitore del Festival di Rotterdam, è un’opera extra-ordinaria sotto ogni aspetto. Il film ricostruisce la cosiddetta «Impresa di Fiume» del 1919-1920 da una prospettiva finalmente non italocentrica, mettendo in atto a sorpresa il «talking back» della letteratura anticoloniale e decoloniale: il rovesciamento del punto di vista, la contronarrazione, qui affidata alle memorie – familiari, d’archivio, urbanistiche, architettoniche – della città stessa, la Fiume/Rijeka che allora fu invasa.

Gabriele D’Annunzio e i suoi legionari agirono in avanscoperta, da punte di lancia dell’imperialismo italiano nei Balcani. Il blitz intendeva rimediare alla cosiddetta «vittoria mutilata» nella prima guerra mondiale. «Mutilata», perché alle trattative di Parigi il Regno d’Italia non era riuscito a prendersi tutte le terre ex-austroungariche a cui puntava. Mancavano all’appello Fiume e il Quarnaro (o Carnaro, come un tempo si diceva), nonché la tanto agognata Dalmazia.
A partire dagli anni Novanta è stato in voga rivalutare “da sinistra” o in senso “libertario” l’occupazione di Fiume. Di tali letture, nella puntuale recensione che oggi pubblichiamo, il gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki rileva l’infondatezza e l’angusto italocentrismo. L’ignoranza delle fonti non italiane è tutt’uno con l’indifferenza per gli abitanti di Fiume/Rijeka di lingua croata, ungherese, tedesca, ma anche italofoni contrari all’annessione. Non viene proprio alla mente, soggettività escluse a priori, tacitamente dichiarate inesistenti. Quel che provarono e subirono non ha importanza.
A essere rimosso dal quadro è l’aspetto imperialista e soprattutto razzista di quell’invasione. Per fare un solo esempio, ecco come si esprimeva D’Annunzio nella Lettera ai Dalmati, 1919:
«Il croato lurido s’arrampicò su per le bugne del muro veneto, come una scimmia in furia, e con un ferraccio scarpellò il Leone alato […]. Quell’accozzaglia di Schiavi meridionali che sotto la maschera della giovine libertà e sotto un nome bastardo mal nasconde il vecchio ceffo odioso…»
Contro gli odiati «s’ciavi» i legionari di D’Annunzio compirono aggressioni squadristiche e veri e propri raid, come quello contro il villaggio di Baška, sull’isola di Veglia/Krk.
Quando, tra grandi sospiri di sollievo dei fiumani, i legionari dovettero levare le tende, Fiume/Rijeka divenne una città-stato autonoma, ma durò poco. La fuga in avanti di D’Annunzio aveva anticipato le ulteriori espansioni a est dell’imperialismo italiano: nel marzo 1922 un colpo di stato di ispirazione fascista rovesciò la giunta autonomista di Riccardo Zanella e nel gennaio 1924 Fiume/Rijeka fu annessa all’Italia. Quanto alla Dalmazia, fu presa nel 1941, con l’invasione nazifascista della Jugoslavia. Che D’Annunzio, morto nel 1938, non poté vedere. Fece però in tempo a celebrare come coerente prosecuzione della sua «impresa» – e aveva ragione – l’invasione fascista dell’Etiopia.
Fiume o morte! talks back, ci rimpalla il discorso. Lo fa da Oltreadriatico e da angolature inattese, squadernando stereotipi e, soprattutto, lo fa collettivamente. L’effetto è vivificante.
In occasione dell’arrivo – ormai imminente – del film in diverse città italiane, la Federazione delle Resistenze sta organizzando iniziative e dibattiti. Consigliamo di tenere d’occhio il sito e/o il canale Telegram.
Buona lettura, buona visione, buoni incontri.]

di Nicoletta Bourbaki *

Il regista fiumano croato Igor Bezinović racconta che il suo film di imminente uscita intitolato Fiume o morte! documenta la prima volta in cui un saluto romano venne ripreso e impresso su pellicola. Era il settembre 1919, la scena si svolgeva nella città di Fiume/Rijeka e a tendere di fronte alla cinepresa il braccio destro nel saluto che appena tre anni dopo sarebbe diventato il marchio distintivo del fascismo italiano, e poi anche del nazismo tedesco, era il poeta e drammaturgo italiano Gabriele D’Annunzio.

D’Annunzio è il protagonista dello straordinario film di Bezinović, una produzione Croazia/Italia/Slovenia di imminente uscita nelle sale, vero e proprio ibrido narrativo non identificabile che racconta i sedici mesi dell’occupazione italiana della città di Fiume/Rijeka. Invasione guidata dallo stesso D’Annunzio, formalmente avversata dai governi liberali del Regno d’Italia, ma di fatto coperta alle spalle dal suo esercito, e ampiamente foraggiata da banche, capitali e massoneria italiani. Come nota Bezinović nella stessa intervista, in un agghiacciante parallelo storico Fiume o morte! esce nelle settimane in cui il saluto romano/dannunziano/nazifascista torna alla ribalta delle cronache per tramite di Elon Musk

Ma il lavoro di Bezinović, al netto delle tragiche vicende che evoca, è tutt’altro che agghiacciante. La sua cifra narrativa è piuttosto improntata a una gioiosa e ben pianificata strategia che poggia da un lato sul’’ibridazione di tipologie testuali, iconografiche e filmiche, dall’altro sull’idea di realizzare un’opera partecipata, sorta di progetto comunitario che ha coinvolto la cittadinanza di Fiume/Rijeka nel racconto di una pagina rimossa e fraintesa della storia della propria città e di tutta Europa.

Nelle sequenze iniziali vediamo alcune inquadrature fisse che mostrano gli attuali ponti sul fiume Rječina/Fiumara, alle quali vengono poi sovrapposte foto e disegni degli stessi ponti risalenti al Natale del 1920, ovvero successivamente al giorno in cui D0Annunzio, come racconta la voce fuori campo, ne ordinò la dissennata e inutile distruzione. Quel fiume, appena prima di sfociare in Adriatico, divideva all0epoca le città di Fiume/Rijeka e Sušak, oggi parti della stessa città.

Sušak, sulla sponda orientale, al tempo dell’Invasione dannunziana era abitata in maggioranza da persone che parlavano croato. Sull’altra sponda, quella occidentale, si parlava in prevalenza il dialetto istroveneto fiumano. Su questo aspetto multilinguistico, che connota storicamente tutta la regione dell’Alto Adriatico, si fonda il primo di molti elementi perturbanti del film: nei primi dieci minuti i commenti e i dialoghi sono in croato sottotitolati in italiano, ma nel momento in cui i cittadini/interpreti mettono in scena la rievocazione degli eventi storici, molti passano al dialetto fiumano che diventa la lingua del film fino al momento della disfatta dei «legionari».

L’effetto su chi guarda da una prospettiva italiana è allo stesso tempo comico e straniante: il fijumanski oggi è quasi scomparso dall’uso quotidiano, e oltre al regista stesso sono proprio le persone di quella città a raccontare come il tempo e gli eventi abbiano reso minoritario quel dialetto, il cui suono però in molte e molti evoca ricordi di vita familiare legati alle figure di genitori, nonni e bisnonne.

Un effetto voluto da parte di Bezinović e che specularmente fa sì che il pubblico croato sia «consapevole che gli italiani non sono arrivati con il fascismo, ma sono la popolazione autoctona di Fiume». In una città che «nel ventesimo secolo si è trovata in otto o nove stati diversi», quelle rievocazioni demoliscono anziché esaltare una supposta italianità o qualsivoglia identità nazionale della città. Servono invece a segnalare l’imprevedibile e ingovernabile vitalità umana dei luoghi, che nello stratificarsi delle vicende storiche e delle sovranità statuali finiscono per creare sempre nuove identità.

Bezinović usa in questo senso anche l’architettura della città, dove alle strutture e agli edifici di epoca asburgica si sono in seguito affiancati o sovrapposti quelli risalenti all’occupazione italiana, poi quelli della lunga stagione socialista e infine quelli attuali successivi all’indipendenza croata. In questo scenario composito di strati storici compresenti si muovono i personaggi nei loro costumi d’epoca, aumentando lo straniamento della visione.

La rievocazione recitata dell’Invasione dannunziana è introdotta da un vero e proprio making of del film stesso. La troupe gira per un mercato chiedendo a fiumane e fiumani se sanno chi sia D’Annunzio. La maggior parte risponde di non averne una minima idea, finché qualcuno non comincia a rispondere: «sì, era un fascista». «Un fascistone che ha occupato Rijeka e dintorni, ce ne sono anche oggi purtroppo». Persino un gruppo di turisti italiani afferma di sapere chi era D’Annunzio ma che «non mi piace, perché era un fascista».

La troupe ferma anche tutti gli uomini calvi e gli chiede di presentarsi per il provino, dando a intendere che ne sceglieranno uno per vestire i panni del poeta. Invece li scelgono tutti, e D’Annunzio viene interpretato a turno da sette diversi attori non professionisti, tra i quali giornalisti, membri di band punk-rock croate e persino un pensionato torinese dell’Arma dei carabinieri trasferitosi nella città quarnerina.

Poi li fanno girare per la città in uniforme, rifacendo scene topiche dell’occupazione. D’Annunzio tiene discorsi infuocati davanti a nessuno, o davanti a poca gente che scuote il capo o ride.

Continua la lettura su Giap - Il blog di Wu Ming


Fonte: Giap - Il blog di Wu Ming

Autore: 


Licenza: 
This work is licensed under Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 International 

Articolo tratto interamente da Giap - Il blog di Wu Ming



Nessun commento:

Posta un commento

I commenti sono in moderazione e sono pubblicati prima possibile. Si prega di non inserire collegamenti attivi, altrimenti saranno eliminati. L'opinione dei lettori è l'anima dei blog e ringrazio tutti per la partecipazione. Vi ricordo, prima di lasciare qualche commento, di leggere attentamente la privacy policy. Ricordatevi che lasciando un commento nel modulo, il vostro username resterà inserito nella pagina web e sarà cliccabile, inoltre potrà portare al vostro profilo a seconda della impostazione che si è scelta.