Articolo da Enciclopedia delle donne
«Strappate il mantello dell’indifferenza che avvolge il vostro cuore! Decidetevi prima che sia troppo tardi»
(da uno dei volantini della Rosa Bianca)
Sophie Scholl aveva meno di 12 anni quando i nazisti presero il potere; seguendo il fratello Hans, ed insieme alle sorelle Inge ed Elisabeth, entrò a far parte, contro la volontà paterna, della Hitlerjugend (Gioventù Hitleriana). Nel 1933 l’iscrizione era ancora volontaria.
Come tutti i giovani, anche i fratelli Scholl furono contagiati dall’entusiasmo e aderirono al nazionalismo; tuttavia, 4 anni dopo, già disillusi, erano uniti contro il regime nazista, trovando, ora sì, l’approvazione paterna.
Gli ultimi anni di scuola, prima dell’università, erano diventati duri per Sophie; ogni lezione era intrisa di ideologia nazionalsocialista e lei assumeva un atteggiamento “privo di partecipazione ”. Fu avvertita dal direttore della scuola: se non avesse cambiato atteggiamento non avrebbe ottenuto il diploma.
Sophie, però, non cambiò atteggiamento e nel marzo del 1940 prese l’Abitur, a dispetto di tutto.
Dopo il diploma, lo Stato chiedeva a tutte le diplomate di lavorare per il RAD per almeno 6 mesi.
Da Monaco, il fratello Hans cercò di ottenere un’esenzione per Sophie e un posto all’università, senza successo.
Sophie entrò nell’istituto per l’infanzia Fröbel di Ulm, sperando di evitare l’impegno per il RAD, ma nel marzo del 1941 fu assegnata a un castello fatiscente trasformato in un campo di lavoro per giovani donne. Erano 2000 i campi come quello in Germania, vi alloggiavano donne tra i 18 e i 25 anni. Le ragazze indossavano le uniformi e avevano sessioni di addestramento ideologico condotte da insegnanti fanatiche. I pasti consistevano per lo più in patate bollite con tanto di buccia «..viviamo come prigioniere, non solo il lavoro ma anche le pause di piacere sono doveri. Qualche volta vorrei urlare: il mio nome è Sophie Scholl. Non dimenticatelo!». Successivamente venne inviata per altri 6 mesi nei pressi di Blumberg - costretta dal Programma di Assistenza in Guerra - in un asilo a ridosso di una fabbrica di munizioni. Nel Maggio 1942 Sophie si recò a Monaco, dal fratello, per studiare all’università.
Il fratello Hans, nel frattempo, insieme all’amico Alex Schmorell, aveva deciso di impegnarsi in un’aperta opposizione al regime nazista, senza coinvolgere, però, la sorella in cospirazioni o pericoli.
Lui e i suoi amici progettavano di scrivere, stampare e distribuire volantini a Monaco per informare un pubblico selezionato di studenti, professionisti e intellettuali del male che li circondava, profetizzando che Hitler avrebbe perso la guerra. La sera in cui Sophie arrivò a Monaco, Hans e i suoi amici festeggiarono il suo compleanno senza raccontarle niente.
«..Ogni singolo deve coscientemente difendersi con ogni sua forza, opporsi in quest’ultima ora al flagello dell’umanità, al fascismo e a ogni simile sistema di stato assoluto. Fare resistenza passiva, resistenza; ovunque vi troviate; non dimenticate che ogni popolo merita il governo che tollera!...» (dal primo volantino della Rosa Bianca).
I volantini della Rosa Bianca iniziarono ad apparire a Monaco verso la metà di giugno del 1942.
Ne uscirono 4, uno dopo l’altro; vennero spediti come stampe a tutta la cittadinanza.
Alcune centinaia arrivarono anche alla Gestapo. Dopo alcune settimane di indagini, gli autori dell’iniziativa restavano ignoti.
Nel 1942 l’università appariva perfettamente integrata nel sistema nazista. Le classi erano infestate da spie dell’Associazione degli studenti nazionalsocialisti che prendevano nota di quel che si diceva, in cerca di battute inopportune durante le lezioni che i professori tenevano con non poco disagio.
Con quei 4 volantini, all’università cominciavano a circolare voci sulla comparsa di materiale antinazista. Leggere tali volantini senza avere l’autorizzazione della Gestapo era un reato.
Un giorno, durante la lezione, Sophie notò un foglietto sotto il banco, lo raccolse, lo lesse «Per un popolo civile non vi è nulla di più vergognoso che lasciarsi governare senza opporre resistenza, da una cricca di capi privi di scrupoli e dominati da torbidi istinti….»
Sophie comprese che altri, dentro l’università, la pensavano come lei. Si facevano chiamare “la Rosa Bianca” e agivano. Piegò il volantino e andò nella stanza del fratello per mostrarglielo. Hans non c’era. Cominciò a rovistare sulla scrivania e girando le pagine di un libro trovò i passaggi citati nel volantino, parola dopo parola, sottolineati. Quando Hans entrò nella stanza fu il momento della verità per Sophie.
Alla fine del semestre estivo, mentre il fratello e gli altri della Rosa Bianca erano stati chiamati in Russia, Sophie tornò a casa, a Ulm, dove la attendevano due mesi di lavoro in una fabbrica di armamenti. Non molto tempo dopo il suo arrivo, suo padre fu processato e condannato a quattro mesi di reclusione perché, in un momento d’ira, aveva urlato che Hitler era un flagello dell’umanità.
Sophie allora si affrettò a tornare a Monaco, nella stanza sua e del fratello per mettere ordine ed essere certa che la Gestapo non trovasse alcuna prova contro di loro, ora che tutta la famiglia era a rischio di arresto.
Nel mese di agosto, Sophie cominciò ad andare in fabbrica. Talvolta la sera si recava alla prigione, il più possibile vicino alle finestre sbarrate dove sperava di vedere il padre. Si portava dietro il flauto e intonava Die Gedanken sind frei (I tuoi pensieri sono liberi), una canzone rivoluzionaria del 1848, simbolo della Germania liberale e contraria al dispotismo.
In fabbrica Sophie diede inizio a una sorta di sabotaggio improvvisato: svolgeva lentamente le sue attività. Questo le attirava i rimproveri del caporeparto, ma lei rispondeva che non poteva fare diversamente, che era maldestra.
Tornati dalla Russia e reincontratisi a Monaco, i membri della Rosa Bianca sentivano che dovevano unirsi al movimento di resistenza nazionale. A Sophie fu assegnata la responsabilità della cassa: distribuiva il denaro e cercava di tenere una sorta di contabilità.
Nel giro di due mesi, dal novembre del 1942 agli inizi di gennaio del 1943, l’operazione della Rosa Bianca si era trasformata da azione isolata di alcuni studenti idealisti, in una rete in espansione che andava diffondendosi nella Germania sud-occidentale, fino alla Saarland, e fino ad arrivare al nord, verso Amburgo e, soprattutto, verso Berlino.
Le copie dei volantini venivano stampate una alla volta, notte dopo notte, con una macchina che doveva essere azionata a mano con una manovella. Per restare svegli, e lavorare durante il giorno, prendevano degli eccitanti dalle cliniche militari dove lavoravano come medici.
Sophie fece i suoi viaggi nell’area di Augusta, Ulm e Stoccarda, da dove spedì circa 800 volantini. Il 18 febbraio, a Monaco, poco dopo le 10 del mattino, Hans e Sophie lasciano il loro appartamento a Schwabing e si incamminarono verso l’università portando con sé una grossa valigia. Arrivati all’università, mentre le lezioni erano ancora in corso, cominciarono a mettere una grande quantità di volantini davanti alle porte delle aule, sui davanzali e sulle grandi scale che conducevano all’entrata principale. Distribuirono dai 700 ai 1800 volantini. Finito tutto, stavano per lasciare l’edificio quando si accorsero che erano rimasti dei volantini; risalirono le scale fino all’ultimo piano, e dalla balaustra gettarono gli ultimi fogli. Nello stesso istante le porte delle aule si spalancarono e gli studenti cominciarono a uscire. Scoperti, Hans e Sophie furono condotti nell’ufficio del rettore Wüst. Non opposero resistenza.
Arrivò Robert Mohr che comandava la squadra della Gestapo, ordinò agli agenti di raccogliere tutti i volantini; stavano perfettamente nella valigia vuota! Mohr diede ordine di portare i due al quartier generale della Gestapo.
Hans e Sophie ammanettati e condotti al quartier generale, furono interrogati per 17 ore in stanze separate. Così come prevedeva il piano del gruppo in caso di cattura, entrambi sostennero di essere loro, e soltanto loro, i responsabili delle azioni della Rosa Bianca.
I fratelli Scholl erano accusati di alto tradimento e il processo venne fissato per il giorno seguente, lunedì 22 febbraio, al Palazzo di Giustizia di Monaco. Il giudice che presiedeva il processo sarebbe stato Roland Freisler. Lunedi 22, alle 7 del mattino i detenuti furono prelevati nelle celle. Quando Else, la compagna di cella di Sophie, tornò nella cella vuota, trovò sul letto ben rifatto di Sophie un foglio di carta; era l’atto di incriminazione e sul retro Sophie aveva scritto la parola “libertà”.
L’aula del Palazzo di Giustizia era gremita di persone, tutti “invitati”, quasi tutti in uniforme. Non c’era nessun membro della famiglia; non erano stati informati ufficialmente né degli arresti né del processo.
Il giudice, Freisler, apparve con una toga scarlatta, luccicante.
Il processo iniziò alle 10: Freisler cominciò con la sua invettiva, Sophie cercò di contestarlo «qualcuno doveva farlo. Ciò che abbiamo detto e scritto è quello che pensano molte persone; solo non osano dirlo a volte alta!».
Furono condannati a morte e portati alla prigione di Stadelheim.
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Fonte: Enciclopedia delle donne
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