sabato 4 luglio 2020

Il nostro pianeta continua a soffrire

Articolo da Comune-info

Dal punto di vista climatico, l’estate appena cominciata non promette niente di buono, così come l’imperversare del Covid negli Stati Uniti e in América Latina. Sulle grandi questione climatiche, però, non ha alcun senso ragionare su notizie che spesso si contraddicono e si consumano in pochi giorni ma, soprattutto, si dimenticano in poche settimane. Per questo resta di grande interesse lo sguardo lento, profondo e retrospettivo del lavoro sistematico di Alberto Castagnola che oggi interpreta e ragiona sui fatti del maggio scorso, un’epoca fa per l’informazione fast-food che siamo abituati a leggere in rete, appena ieri per chi ragiona su processi complessi. Come le temperature record di Montreal o del Rajastan, la ricostituzione (vera o ma parzialissima) dello strato di ozono, qualche effetto positivo generato dal confinamento pandemico planetario, i disastri e gli esodi prodotti da tifoni, cicloni e tempeste tropicali nel Bengala, nelle Filippine e nel Salvador, ecc. Questa rassegna di notizie si propone di aiutare chi legge a tenere uno sguardo periodico d’insieme sugli squilibri planetari e, quando possibile, su quel che si fa o si potrebbe fare per contrastarli. Mai abbastanza, sia chiaro

Un’ondata di caldo sicuramente “anomalo” ha colpito per molti giorni del mese di maggio l’Europa sudorientale e il Medio Oriente, con temperature superiori ai 40 gradi a Creta, Cipro, coste della Turchia, mentre nell’area tra Israele e la Giordania si sono registrati anche 47 gradi centigradi.

Nello stesso periodo, a scala internazionale, la città più calda è stata Nawabshah, in Pakistan, dove il 19 maggio il termometro ha fatto registrare i 46 gradi, mentre il 26 dello stesso mese a New Delhi, India,  la temperatura era di 47,6 gradi mentre nel Rajastan sono stati raggiunti i 50 gradi. Intanto in Canada , a Montreal, con 36,6 gradi, si raggiungeva un record storico per il mese di maggio.

Nell’Antartide, nella stagione invernale, la base di ricerca Concordia annunciava la temperatura più bassa di -73,6 gradi centigradi. L’estate calda è quindi iniziata e nei mesi successivi ne vedremo gli effetti sul riscaldamento globale.

E’ stato anche evidenziato un altro fenomeno importante, in parte connesso alle temperature. Sopra l’Artico si è chiuso il buco nello strato di ozono atmosferico che protegge la Terra dai raggi solari eccessivi e che dal 2011 si era formato a causa dei  CFC (clorofluorocarbonio) di produzione industriale.

Questo fenomeno, ben conosciuto e ampiamente denunciato, aveva portato nel 1987 al Protocollo di Montreal per la sostituzione di tali sostanze con gli Hcfc, ritenuti all’epoca meno dannosi. In realtà, a scala internazionale, solo una parte modesta, intorno al 10%,  dei “buchi” si è effettivamente ridotta, mentre le nuove sostanze utilizzate sono state più di recente considerate anch’esse dannose.

In realtà sembra che la ricostituzione dello strato di ozono sull’Artico sia il prodotto di un “vortice polare” in questi mesi particolarmente compatto e prolungato e dall’aumento delle temperature globali.

Infine, è opportuno segnalare che sono iniziate ad apparire i primi dati relativi agli effetti “positivi” sulla crisi climatica della pandemia in corso, cioè la drastica riduzione delle vittime di incidenti stradali e degli inquinamenti dell’aria.

I calcoli finora effettuati evidenziano che le riduzione del traffico di auto e di aerei decise per bloccare la diffusione dei contagi, abbia determinato la forte diminuzione di diossido di azoto (NO2) e di particolato PM10 , evitando circa 11mila  morti premature.

Ovviamente ciò non significa che dobbiamo auspicare l’aumento delle epidemie per risolvere i problemi ambientali, ma evidenzia per l’ennesima volta la gravità dei danni da inquinamento che affliggono la popolazione mondiale. 

Gli eventi estremi sono sempre più “normali”

In primo luogo, i cicloni, in tutto il mondo a velocità e frequenza crescenti. Nel Bengala, il ciclone Amphan percorre il territorio a 190 chilometri orari, e si parla di tre milioni di persone costrette a spostarsi per cercare riparo. Nelle Filippine il tifone Vongfong fa registrare diecine di migliaia di persone sfollate. Nel Salvador sono 15 i morti causati dalla tempesta tropicale Amanda, e /000 le persone costrette a spostarsi dalle loro abitazioni.

Anche gli incendi si moltiplicano in California, dove dal primo gennaio al 10 maggio ne sono stati registrati 675, cioè il 60% in più dello stesso periodo del 2019.

In indonesia gli incendi hanno distrutto nel 2019 1,6 milioni di ettari di vegetazione; in questo paese hanno deciso di sperimentare la tecnica della inseminazione delle nuvole con particolari prodotti che stimolano le precipitazioni di piogge nei periodi più opportuni per difendere foreste e raccolti.

Le invasioni di locuste continuano a fare notizia. In questi mesi gli sciami si sono moltiplicati in India, nella parte occidentale per e centrale,  sembra alimentati da esemplari locali (quindi non ci sono collegamenti con le invasioni dei paesi africani, che pure erano arrivate fino al Pakistan). E’ il peggior evento degli ultimi venticinque anni, e ciascuno dei quattro sciami principali conta da 40 a 80 milioni di esemplari adulti per chilometro quadrato. Anche in questo caso in 24 ore mangiano quanto 35.000  esseri umani e finora hanno coperto 50.000 ettari di territori coltivati.

Infine, ricordiamo un fenomeno analogo ma con caratteristiche diverse che sta colpendo gli Stati Uniti dell’Est: milioni di cicale, che per  periodi di circa 17 anni vivono sottoterra in forma di ninfe, hanno assunto la forma adulta e stanno emergendo in almeno tre Stati, con grandi preoccupazioni degli agricoltori che temono per i loro raccolti.

Per concludere questa parte , è opportuno ricordare il disastro che ha colpito la Siberia a circa trecento chilometri all’interno del Circolo Polare Artico, a Norilsk, il 27 maggio.

I depositi di carburanti che alimentavano un impianto elettrico al servizio delle miniere di nickel russe, hanno riversato il loro contenuto in un ampio territorio e in alcuni fiumi, in particolare l’Ambarsaya e il Piasyna che sboccano sul mar di Kara.

La causa sembra sia strettamente collegata al riscaldamento globale, in quanto le basi delle cisterne poggiavano sul ghiaccio e soprattutto sul permafrost sottostante, questi si sono sciolti nei mesi estivi, i sostegni si sono rovesciati e oltre 20.000 tonnellate di petrolio e di altri carburanti hanno dilagato. La notizia è stata riportata da molti giornali, che sottolineavano in particolare le difficoltà del governo russo ad intervenire in ambienti così difficili e lontani.Poiché un incidente analogo si è verificato anche nel 1994, con uno sversamento di ben 94.000 tonnellate, forse sarebbe opportuno sottolineare il fatto che le grandi risorse minerarie finora nascoste dai ghiacci, alle quali molte imprese e molti Stati aspirano, (uno dei motivi che ritardano la presa di coscienza da parte dei decisori politici, della reale urgenza della crisi ambientale),  non sono poi così a portata di mano, e possono invece addirittura creare ulteriori danni all’ambiente.

Gli effetti diffusi  degli squilibri planetari

Si moltiplicano le zone fortemente danneggiati dai meccanismi di danno ambientale, ne ricordiamo solo alcune. Le zone che circondano il lago Turkana  (7500 chilometri quadrati, il quarto lago salato del mondo) , nel nord ovest del Kenya, a partire dagli ultimi anni ’60, la temperatura media è aumentata di circa tre gradi centigradi.

Si sono quindi allungati i periodi di siccità, mentre è fortemente diminuita la portata del fiume Omo, anche a causa delle grandi dighe in costruzione in Etiopia, dove ha origine, e il lago si è molto ridotto in ampiezza.

Ne hanno molto risentito le popolazioni rivierasche, in particolare i pescatori, e le migrazioni verso la capitale Nairobi sono aumentate del 74%. La popolazione del paese è per il 90%  al di sotto della soglia di povertà e per l’80% non ha mai frequentato una scuola. Inoltre, sempre nella contea dei turkana, sono stati scoperti importanti giacimenti di petrolio (si calcola che il bacino centrale contenga oltre seicento milioni di barili); l’inglese Tullow Oil, in collaborazione con la Africa Oil hanno già ottenuto i primi permessi di prospezioni, ma le attività petrolifere non sono certo leggere per l’ambiente e i livelli occupazionali non sono sicuramente in grado di contribuire positivamente alla soluzione dei problemi sociali del paese.                                                                 

Una seconda area gravemente inquinata è quella di Witbank (di recente ribattezzata Emalaheleni), a nord est di Johannesburg, Sudafrica, centro di estrazione ed esportazione di carbone, 22 miniere e 450mila persone che combattono contro la polvere nera, che si posa sui campi e che si accumula nei polmoni, causando gravi malattie. Le aziende minerarie e gli impianti per l’elettricità assorbono gran parte delle risorse idriche, e quindi la popolazione incontra molte difficoltà ad approvvigionarsi, anche perché le falde sono spesso inquinate  dai residui del carbone. La società Eskom, una utility elettrica che si alimenta con la produzione di una vicina miniera di litantrace, usa anche l’acqua per raffreddare le turbine che producono elettricità da vendere al Mozambico e allo Eswatini (ex Swaziland), mentre la popolazione della zona è costretta a bere un acqua conservata in cisterne e che spesso viene razionata.                                                                                                

Una terza area a forte inquinamento è costituita dal territorio circostante il Lago Vittoria, secondo al mondo per ampiezza e primo dell’Africa e che alimenta il Nilo Bianco. Intorno ai suoi 68.mila chilometri di estensione vivono 40 milioni di persone abitanti di tre paesi, Tanzania, Uganda  e Kenya. Molti sono i fattori negativi  che stanno incidendo sulla vita del grande lago, in primo luogo il riscaldamento globale che riduce la presenza di pesci, abbassa il livello delle acque e rallenta i venti. 

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Fonte: Comune-info  


Autore: 
Alberto Castagnola

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Articolo tratto interamente da 
Comune-info 


8 commenti:

  1. Se non si limita a inquinare l'atmosfera con l'anidride carbonica si arriverà al punto di non ritorno, quando non si potrà fare più niente per salvare il pianeta dal caldo torrido, tipo Venere.

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  2. Che il mondo vada verso lo scatafascio non è certo una novità... non serviva di certo il covid a ricordarcelo.. ma noi scivoliamo per la china dell'irreversibilità senza nessuna remora... a noi sessantenni riguarderà solo di striscio.. ma le nuove generazioni? Che futuro avranno a loro disposizione?

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  3. Un'estate della quale preoccuparsi. La pandemia, in aumento in troppi paesi e il caldo eccessivo non promettono nulla di buono, dobbiamo stare molto attenti. Saluti.

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    1. Le sorti del pianeta sono nelle nostre mani, ci vuole maggiore consapevolezza.

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  4. Sempre molto interessante leggerti. Grazie.

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