venerdì 12 giugno 2020

La deriva fascista americana



Articolo da Il lavoro culturale

È il 2016. In un piccolo villaggio a ventiquattro chilometri e un mondo di distanza dal lusso sbiadito di Sanremo c’è una vetrina vuota, a parte un adesivo con la faccia sorridente di Donald John Trump, presidente eletto degli Stati Uniti d’America. Dentro il negozio c’è una foto di Jean-Marie Le Pen, l’irriducibile politico francese promotore di xenofobia e antisemitismo, e un calendario di Mussolini del 2005. “Make America Great Again”, mi dice in inglese: la sua camicia è aperta e rivela una nuova cicatrice di un’operazione al cuore, mentre nella stanza sul retro una donna con un forte accento dell’Europa orientale sgobba spogliando gli ulivi dai loro frutti. A una mezz’ora da qui, al pub Aquila Nera di Dolceacqua, questo signore è conosciuto come il “Fascista di Bajardo”. Al bar, i clienti discutono i meriti di Mussolini, senza la cui pianificazione urbana queste città non avrebbero strade adeguate, lamentandosi della presenza dei migranti al confine con la Francia e parlando con invidia della forza di un vero leader come Trump, che invece qui manca. Da americano, ero venuto a Dolceacqua per cercare di evitare l’ingresso in carica di un altro Presidente eletto nonostante la sconfitta nel voto popolare. Ma la presenza simbolica di Trump in questi villaggi ha messo in luce un’accoglienza del fascismo che mi ha davvero scioccato. In che modo gli italiani possono ancora sostenere quello che ha portato così tanta distruzione al mondo e a sé stessi?

Forse questo shock rivelava una certa ingenuità non solo verso l’Italia, ma anche verso il mio stesso Paese. Come “comunista” o “terrorista”, la parola “fascista” è spesso usata nella società americana per infondere paura o rabbia in un dibattito, raramente tuttavia con riferimento al contesto storico. Alle elementari, noi americani studiamo spesso le potenze dell’Asse come fonte di male e di odio che si propagano come il fuoco, fino a quando i virtuosi americani non intervengono eroicamente. Troppo raramente, invece, consideriamo le condizioni che hanno portato alla Marcia su Roma e all’occupazione di Addis Abeba, e i fattori culturali che hanno contribuito al consolidamento del potere fascista. All’elezione di Trump nel 2016, molti giovani hanno denunciato che una nuova era del fascismo stava nascendo negli Stati Uniti come se fosse uscita direttamente dai sogni di Trump. La realtà, però, è che anche negli Stati Uniti abbiamo una lunga storia di corteggiamento con fascismo e totalitarismo, benché ben nascosta.

Ci sono promemoria tangibili di questa eredità. Il video della manifestazione nazista a Madison Square Garden nel 1939, intitolata semplicemente e innocentemente “Pro-American Rally”, mostra 20.000 nazisti, o “Friends of New Germany”, che esultano quando un manifestante ebreo, Isadore Greenbaum, viene picchiato da americani vestiti da SS prima di essere salvato dalla polizia. Viene tirato giù dal palco, con i pantaloni alle caviglie. L’anno successivo, un esercito privato di 500.000 veterani disoccupati tenta un colpo di stato fascista contro il governo di Franklin Delano Roosevelt. Questo tentativo, guidato da diversi finanzieri di Wall Street e – si crede – Prescott Bush (padre del Presidente George H.W. Bush). È sventato dallo stesso FDR, ma senza conseguenza alcuna: perso nel tempo.

In entrambi questi casi, il presunto partito fascista è una minoranza che viene fermata dallo Stato. Come noto, questa dinamica è invece invertita nel romanzo Il complotto contro l’America di Philip Roth, dove la minaccia implicita è la soggettività del male, forse più che il nazismo storico. Nel libro, l’amato Charles Lindbergh vince la presidenza non con una piattaforma d’odio, ma di pace: in verità, il suo partito, l’“America First Committee”, era tanto anti-interventista quanto antisemita. Lindbergh non era l’unico sostenitore di questo partito nella realtà: John F. Kennedy, Gerald Ford, l’attrice Lillian Gish e molte altre figure illustri erano membri del più grande movimento contro la guerra del paese. Purtroppo per le loro rispettive eredità, era anche antisemita e filofascista.

Non sarebbe forse corretto dire che il fascismo di per sé propugna opinioni antisemite o teorizza la supremazia bianca, anche se oggi è difficile dirlo con certezza, dopo settantacinque anni di confronti iperbolici che hanno manipolato ampiamente l’ideologia iniziale. Possiamo comunque concordare sul fatto che il fascismo si fonda su una miscela di nazionalismo e totalitarismo: per una cittadinanza americana che sostiene così orgogliosamente il primo dei due termini, ci piace pensare a noi stessi come storicamente antitetici al secondo, una sorta di solitario bastione dell’individualismo in un mondo di comunisti. E in effetti, sebbene possa esitare a definire esplicitamente il fascismo stesso, Hannah Arendt nel suo Le origini del totalitarismo lo delinea come l’assalto dello Stato all’individualismo:

Come la sovranità della nazione fu modellata sul modello della sovranità dell’individuo, così la sovranità dello Stato come stato nazionale era il rappresentante e (nella sua forma totalitaria) il monopolizzatore di entrambi. Lo Stato conquistato dalla nazione divenne l’individuo supremo davanti al quale tutti gli altri individui dovevano inchinarsi.

Ovviamente, il concetto americano di “maverick” (il cane sciolto orgogliosamente individualista e anticonformista) è stato a lungo limitato a un gruppo selezionato di maschi americani bianchi e ricchi. Prima e dopo l’“America First Committee”, da cui Trump sembra aver tratto gran parte della sua campagna, il governo degli Stati Uniti ha terrorizzato apertamente i non americani attraverso programmi politici, interventismo e capitalismo di sfruttamento. Ha terrorizzato apertamente anche gli americani non bianchi, dalla schiavitù alla prigione dei giapponesi-americani nei “campi di reinsediamento del periodo di guerra” tra il 1941 a 1944, alle cosiddette guerre della droga nelle nostre città. Niente di tutto ciò dovrebbe essere nuovo o scioccante per qualsiasi lettore, ma questi fatti meritano di essere ripetuti. 


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Fonte: Il lavoro culturale  


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Articolo tratto interamente da Il lavoro culturale 



14 commenti:

  1. Generalmente un fascista è una persona egocentrica che ama il potere fine a se stesso. Ragiona poco e ha moltissimi difetti.
    Trump è fatto così, cioè male.

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  2. Caro Vincenzo, se ne parla sempre molto, ma non cambia nulla.
    Ciao e buon fine settimana con un forte abbraccio e un sorriso-)
    Tomaso

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  3. Il fascismo contemporaneo non è più"ideologicamente" simile in tutto e per tutto a quello passato, ma restano cmq il calpestare i diritti umani ed un razzismo moderno, che oltre agli ebrei tocca tante altre persone indifese.

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  4. E bisogna parlarne, perché il mondo, nella sua quasi totalità, tutto questo lo ignora.

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  5. Bello questo articolo!A presto...

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  6. disanima attenta ed equilibrata, avrei qualche dubbio sull antisemitismo dei Kennedy, però sapendoli di radice irlandese cattolica, potrebbe starci. Ciao.

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    1. Purtroppo ci sono troppi intolleranti in giro, non solo negli Stati Uniti.

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  7. un seme che è da sempre presente negli USA

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