Articolo da Transform! Italia
Octav Stroici era un operaio ormai prossimo alla pensione. Ma a 66 anni non si può e non si dovrebbe mai lavorare in un cantiere così pericoloso, come quello della Torre dei Conti, nel cuore antico e dissestato di Roma e soprattutto non si può morire, né in questa maniera, né mai. Questo è il destino che si riserva sempre più a chi lavora, questa è la condanna senza pietà che si determina a chi provvede, con le proprie mani, a mandare avanti interi comparti produttivi del Paese. Octav proveniva dalla Romania, viveva in provincia di Roma, a detta della moglie viveva per il suo lavoro e aspettava solo un anno per godersi una meritata pensione che non arriverà mai. Lutto cittadino, cordoglio espresso da tante cariche comunali e statali, ma poi? Quanti altri Octav incontreremo nel corso degli anni? Quanti ne abbiamo incontrati, come Satman Singh, ormai dimenticato in quel mondo dello sfruttamento intensivo che chiamiamo Agro Pontino? Quante e quanti ce ne sono che ogni mattina, autoctoni o con background migratorio, uomini o donne, in regola, sottoposti alla schiavitù dei subappalti, di un lavoro grigio che tende sempre più verso il nero? Siamo certe e certi di conoscerlo questo mondo o preferiamo rimanere rinchiusi nel mito/incubo della grotta?
Sì, la grotta di Platone, quella con cui l’ottimo Luca Di
Sciullo, Direttore di IDOS, ha presentato il 4 novembre la
trentacinquesima edizione del Dossier Statistico sull’Immigrazione, un
immenso strumento di lavoro per chi si occupa di questi temi. Così come
lo scorso anno era partito dalle suggestioni di un antropologo, René
Girard, per raccontare di un mondo in cui le civiltà traevano il proprio
mito fondante nel fratricidio, da Caino a Romolo e quindi nella ricerca
del simile da ergere a capro espiatorio, quest’anno ha compiuto, ad
avviso di chi scrive, un ulteriore salto in avanti. Il mito della grotta
si fonda sull’idea di un gruppo di persone, incatenate e, appunto,
rinchiuse in un cunicolo. Di quello che avviene fuori scorgono soltanto
le ombre e per questi, le ombre sono la realtà. Al punto che quando uno
di loro fugge e torna per liberarli, per raccontare che fuori c’è la
luce, il mondo, la vita, non gli credono, lo prendono per pazzo, lo
emarginano. Nel presentare il volume la metafora diviene concreta e
tangibile: viviamo in un mondo in cui, citando Hannah Harendt il
suddito ideale del regime totalitario non è il nazista o il comunista
convinto (il riferimento è allo stalinismo), ma l’individuo per il quale
la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso, non esiste
più”. L’immigrazione che incontriamo tutti i giorni, quella che muore
sul posto del lavoro o che fatica a vivere e ad immaginare un futuro
migliore, almeno per i propri figli, “è ridotta a caricatura grottesca –
afferma Di Sciullo – creata ad arte da furbi manipolatori di luci che,
alle nostre spalle, ritagliano e agitano figure di migranti quanto più
distorte e dissimili a noi. Ne fanno così dei bersagli della rabbia
collettiva per mali atavici dell’Italia, mai risolti”. E dov’è la
realtà? Intanto nelle nude cifre che il dossier, ogni anno, mostra nella
loro fredda e chirurgica precisione, quella con cui per tanti è scomodo
fare i conti, perché intacca certezze e logiche di dominio coloniale.
Le ombre che vediamo proiettate nelle nostre caverne, collettive ed
individuali, tangibili e virtuali, sono composte da minacce inesistenti:
“vengono a rubarci il lavoro?”, peccato che sia l’Italia a chiamare in
massa persone da tenere in condizioni di sfruttamento, insicurezza, per
professioni che la popolazione autoctona non solo, anche in tempo di
crisi, non vuole più svolgere, ma che, per alta età anagrafica, non è
nemmeno più in grado di ricoprire. Il castello di menzogne, alimentate
dagli imprenditori della paura, dell’odio e del disprezzo, non ha
limiti: si accusa chi è emigrato di non pagare le tasse vivendo “sulle
nostre spalle”, peccato che, si tratta di dati incontrovertibili, il
saldo fra quanto si spende per accogliere e quanto chi è emigrata/o
versa nelle casse del Paese, superi i 4 mld di euro, con cui si pagano
welfare, pensioni, sanità. E quello che manca è dovuto alla piaga del
lavoro nero gestita da irreprensibili datori di lavoro made in Italy,
questi si spesso, veri evasori. Li si accusa di delinquere, salvo poi
accorgersi che chi è in condizioni di regolarità col soggiorno ha un
tasso di criminalità, inferiore a quello nostrano. Allo stesso modo li
si accusa di portare malattie. Le persone partono sane e con
l’intenzione, nella maggior parte dei casi, di costruirsi un futuro, è
la vita nell’irregolarità e nello sfruttamento che sovente rasenta lo
schiavismo, che porta ad ammalarsi e a finire nelle maglie della
criminalità organizzata. Ma è scomodo sentirsi dire questo.
È scomodo sentirsi dire che fra i circa 5,3 milioni di
cittadini di origine straniera, regolarmente residenti, aumenta
l’occupazione, anche se malpagata e sottoposta a ricatti, sono in
crescita le imprese, soprattutto piccole, che ridanno fiato ad
un’economia logora, restano salari inferiori mediamente del 30% fra
lavoratori e lavoratrici stranieri e i colleghi italiani, ma è
responsabilità di un inesistente esercito di lavoratori di riserva, di
marxiana memoria o di una deregolamentazione del mercato del lavoro che
permette la crescita di confini di classe?
E insieme ai tanti dati numerici, forniti dal dossier, ma
che a volte sembrano inutili per rompere la narrazione dominante, ci
sono gli elementi che permettono di parlare a chi è uscito dalla
caverna, conosce il mondo, prova empatia per gli altri e propone una
visione più articolata e complessa di quanto accade in questo angolo
privilegiato di pianeta.
Le paure hanno anche un fondamento: oltre 300 milioni di
persone in fuga dai propri paesi di origine, 60 conflitti in atto,
milioni di uomini, donne e bambini che vivono le conseguenze
catastrofiche del disastro ambientale. Persone che chiedono di poter
vivere. Ma di chi è la responsabilità di tante catastrofi umanitarie?
Proseguendo col mito di Platone, Di Sciullo, considera la grotta uno
specchio che rimanda all’immagine di noi stessi, quello che percepiamo e
che ci fa chiudere gli occhi è la proiezione di nostre paure
corroborate da antichi deliri di onnipotenza suprematista a cui mancano
fiato e respiro. Il mito si fa cartina di tornasole: si chiude la porta
alla cultura umanista, persino all’homo sapiens sapiens per ridare vita
e potere all’homo caverniculus a cui,
secondo il direttore di IDOS, “abbiamo consegnato la leadership delle
maggiori super – potenze mondiali, affidandogli di fatto i destini
planetari”
Questa 35° edizione del Dossier, segna se possibile, un ulteriore passo avanti in un approccio alla ricerca in cui l’empatia si fa, ad avviso di chi scrive, “militanza”, nel senso pacifista e umanista del termine. Fornisce quegli strumenti utili ad abbattere le pareti della “caverna” e ad immergersi in una realtà che è corretto chiamare presente. Considera le letture “funzionaliste” delle migrazioni, come non adeguate a comprendere quanto accade, si schiera nettamente contro le logiche repressive e securitarie, pone problemi che non riguardano le tattiche elettorali per acquistare consensi, ma affrontano questioni strategiche per definire un futuro radicalmente diverso. E denuncia attraverso i numeri e i temi affrontati il fallimento di scelte, che non attengono solo all’Italia o a questo governo, definendo e nominando i burattinai che determinano l’abominio dell’oggi e i tanti poteri oscuri, criminali, spesso dai colletti bianchi, che traggono beneficio dalla gestione malvagia e fallimentare dell’immigrazione. Non parole ma dati concreti, come la condizione degli oltre 140 mila uomini, donne e a volte anche minori, a cui viene offerto un riparo temporaneo nei cd CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria), in cui viene parcheggiato chi chiede asilo, dove ogni forma di sostegno e di avviamento al lavoro è stata tagliata e dove, in questa maniera, si consegnano quelle braccia e quei corpi allo sfruttamento, al caporalato, alla criminalità, grazie anche ai tempi lunghissimi di attesa che intercorrono per vedersi riconosciuta – quando ci si riesce – qualche forma di protezione. Sono numeri quelli derivanti dai cosiddetti “decreti flussi”, con cui si definiscono possibilità di ingresso regolare in Italia. È accettabile che, consegnando queste vite nelle mani di spesso sedicenti datori di lavoro, nel biennio passato, su 286 mila persone entrate solo l’8% abbia poi potuto firmare un vero contratto di lavoro ed ottenere l’agognato permesso di soggiorno? Le chiamate fasulle sono la normalità, permettono di assumere persone al nero e di tenerli sotto un eterno ricatto. Ma chi è nella grotta e guarda gli uomini e le donne migranti unicamente per come vengono proiettati da gran parte del circuito mediatico, rifiuta di riconoscere la realtà di queste problematiche, rifiuta di farci i conti, anche perché, ad avviso di chi scrive, avere manodopera priva di potere, avere cittadini a metà – il risultato di un referendum che chiedeva solo di abrogare una legge stantia lo ha dimostrato – conviene, permette di avere una collettività su cui scaricare le proprie frustrazioni e le proprie solitudini e di non assumersi la responsabilità di criticare un modello di sviluppo che, a livello globale, sta portando sempre più verso il disastro.
Fonte: Transform! Italia
Autore: Stefano Galieni
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