Articolo da IrpiMedia
Un esperimento su TikTok mostra come l’algoritmo spinga i ragazzi verso contenuti misogini e ideologie della manosphere. L’odio di genere diventa un trend che attecchisce facilmente in una società che fatica a riconoscerne la diffusione
È un pomeriggio di settembre 2025 e Milo, 18 anni, apre un account su TikTok. Inserisce l’età, il sesso e alcune preferenze di contenuti: sport, crescita personale, relazioni, vita quotidiana. Poi inizia a scrollare la sezione “per te”: la selezione di video scelti dall’algoritmo.
Il primo post è composto da una serie di video di spiagge e il testo «top 5 posti che ho visitato quest’estate con i bro», seguito da altri su amicizia maschile, qualche animale che fa cose buffe, routine in palestra.
Milo scrolla e salta da un video a un altro, senza mettere like, ma cliccando su qualche hashtag. Si sofferma soprattutto sui contenuti pensati per un pubblico maschile: video motivazionali che parlano di come migliorarsi, affrontare la solitudine o superare le delusioni, accompagnati da immagini di ragazzi che si allenano o che sollevano pesi. Col passare delle ore e dei giorni, l’algoritmo inizia a proporgli più spesso contenuti denigratori verso le donne, in cui la gelosia viene esaltata e si mescolano toni di misoginia e vittimismo maschile.
In breve
- Un esperimento condotto su TikTok con un account fittizio di un ragazzo di 18 anni mostra come l’algoritmo spinga progressivamente verso contenuti misogini, maschilisti e legati alla manosphere
- Dai video motivazionali al looksmaxxing (consigli e tecniche per curare l’aspetto in modo da sembrare più maschili), le piattaforme costruiscono un percorso che trasforma l’insicurezza maschile in una narrazione tossica su forza, virilità e controllo sulle donne
- I contenuti legati a red pill e black pill mescolano vittimismo e odio di genere: i red pill credono che la società favorisca le donne e che queste scelgano solo i Chad (uomini alfa), mentre i black pill rinunciano del tutto alla vita sentimentale
- Le testimonianze raccolte da IrpiMedia rivelano come molti ragazzi considerino questi messaggi ironici o “solo meme”, ma il linguaggio e i modelli di pensiero finiscono per radicarsi nella quotidianità
- L’odio di genere non resta confinato al digitale: per esperti e ricercatori i social amplificano la violenza di linguaggi come quello degli incel, ma le loro ideologie affondano le radici nei contesti culturali e sociali in cui si formano
«Se le donne venissero giudicate con gli standard con cui si giudica un uomo (fisico, lavoro, soldi, altezza) il 95% delle donne sarebbe un fallimento», si legge come descrizione della foto di un ragazzo molto giovane che guida un’auto.
Milo non esiste davvero: è un account che abbiamo creato appositamente per la nostra ricerca. Lo abbiamo immaginato come un adolescente un po’ insicuro e vulnerabile, in cerca di risposte su come migliorare sé stesso e la propria vita. Il nostro obiettivo era capire fino a che punto i giovani uomini siano esposti, ogni giorno, a contenuti che normalizzano visioni misogine. E osservare come parole e teorie un tempo confinate in nicchie di internet siano ormai uscite allo scoperto, diventando parte della cultura dominante e del linguaggio comune tra gli adolescenti.
All’estero sono stati fatti diversi esperimenti di questo tipo, che mostrano come i social mainstream spingano contenuti estremamente misogini. Secondo un report
realizzato nel 2024 dall’University College London, l’università del
Kent e l’Association of School and College Leaders, gli algoritmi
«prendono di mira le vulnerabilità delle persone – come la solitudine o
la sensazione di perdita di controllo – e gamificano contenuti dannosi».
Un’inchiesta di The Observer ha mostrato come, dopo aver guardato un post di un tiktoker su «come gli uomini non parlano dei propri sentimenti», il feed di un 18enne si fosse popolato di contenuti dell’influencer ipermisogino Andrew Tate o su come il femminismo abbia reso gli uomini infelici.
Le parole d’ordine della manosphere
Quando Milo inizia a interagire con video su allenamenti, esercizi e palestra, l’algoritmo lo spinge presto verso un nuovo filone: quello del looksmaxxing, l’insieme di pratiche e consigli su come migliorare il proprio aspetto per apparire più “virili” — dalla mascella scolpita agli “occhi da predatore” — e così avere più successo con le donne.
Alla base c’è un’idea ricorrente: solo chi è bello, con determinati
tratti fisici — o, in alternativa, ricco e di successo — può sperare in
una vita sentimentale e sessuale appagante. Un messaggio che torna in
molti dei video che Milo si trova davanti. C’è, per esempio, un video in
cui un ragazzo spiega come passare da Lmtn (low o mid tier normie), cioè un uomo poco attraente o nella media, a Chad, il livello più alto nella scala dell’appetibilità maschile. Un linguaggio preciso, codificato, che affonda le sue radici nelle nicchie misogine di Internet.
Nei commenti compaiono soprattutto utenti giovanissimi, che usano lo stesso gergo. «Sono alto 187 cm e ho 14 anni, cosa sono?», scrive uno. «Questa è la mia base: 14 anni, 192 cm. Consigli o rating?», aggiunge un altro. «Con una base htn (bellezza sopra la media, ndr) e 193 cm a 15 anni, a cosa posso arrivare?», chiede un terzo. Sotto la foto di un utente, qualcuno commenta semplicemente: «Sei al massimo un 7».
A prima vista, il looksmaxxing potrebbe sembrare solo un trend che amplifica le insicurezze fisiche dei ragazzi — e infatti, quando gli utenti cercano attivamente questo termine nella barra di ricerca di TikTok, la piattaforma accompagna i video con un avviso: «Sei molto più del tuo peso».

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