venerdì 16 agosto 2019

Cinquant'anni di Woodstock

Woodstock redmond stage

Articolo da Il Bo Live, il giornale dell'Università di Padova

Un evento epocale che ha cambiato la storia della musica si tenne a Bethel, nello stato di New York, dal 15 al 18 agosto di cinquant'anni fa. Era il 1969, in Gran Bretagna c'erano i Beatles e i Rolling Stones, negli Stati Uniti Jim Morrison, Jimi Hendrix e i Pink Floyd. Erano gli anni in cui vivevano coloro che sarebbero passati alla storia come “i figli dei fiori”, i giovani ribelli che si lasciavano crescere i capelli lunghi e scappavano di casa in cerca di loro stessi, occupavano le scuole e protestavano per strada contro la guerra in Vietnam, costruttori di una identità reattiva nei confronti di una classe dirigente non credevano più.

La controcultura hippie era destinata a non essere solo una moda. Negli anni dei blue jeans, di Nixon, di John Lennon che sposava Yoko Ono, c'era un'intera generazione di giovani che chiedeva la pace, l'amore, la libertà. Nel 1967 era uscito Hair, il musical drammatico e provocatorio che sarebbe diventato un film dieci anni dopo, che denunciava la tragedia di una guerra che spezzava milioni di giovani vite.

Questa era la situazione politica e culturale in America quando il concerto di Woodstock fu organizzato da quattro ragazzi poco più che ventenni: Mike Lang, Artie Kornfeld, Joel Rosenman e John Roberts (grazie al capitale ereditato da quest'ultimo). Lo storico evento si tenne nella proprietà di un privato, Max Yasgur. 600 acri di prato, nessun recinto, un pubblico mai visto prima, che sarebbe presto diventato il motivo per cui il piccolo comune di Bethel viene tutt'ora ricordato.

Nonostante gli organizzatori si aspettassero un'affluenza di 50mila e poi di 200mila persone, le stime ufficiali furono di 500-600mila, anche se il numero esatto dei partecipanti non si conobbe mai: alcune testimonianze parlarono addirittura di un milione di persone. Ben presto l'evento venne trasformato in un raduno tribale ed energico aperto a tutti, per cui i biglietti non vennero mai staccati e l'area non fu transennata. Per far fronte al disagio pubblico furono chiusi il confine con il Canada e i tratti principali di autostrada che passavano di là. Le strade erano bloccate anche per i musicisti, che furono costretti ad essere trasportati sul palco in elicottero.

Sconvolgono ancora le foto dell'epoca, grazie alla quale si può vedere l'enorme distesa di gente accampata lì per tre giorni. Nessuno lo immaginava così grande, né gli organizzatori, né gli artisti né i partecipanti. Ma la cosa che stupisce ancora di più è che nonostante l'allestimento dell'evento fosse sfuggito di mano, e che non fossero cioè state predisposte misure di sicurezza o di controllo, non ci furono testimonianze di atti criminali o di violenza. Per quanto immenso, sembra che quello di Woodstock sia stato davvero un raduno pacifico, in cui i partecipanti ebbero modo di trasformare in realtà i loro ideali di fratellanza e convivenza.

Ad aprire il concerto fu Richie Havens, la cui performance di Freedom passò alla storia come uno degli inni di quella generazione.

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Fonte: Il Bo Live, il giornale dell'Università di Padova

Autore: Federica DʹAuria


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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia.


Articolo tratto interamente da 
Il Bo Live, il giornale dell'Università di Padova


Photo credit Derek Redmond and Paul Campbell [CC BY-SA 3.0], attraverso Wikimedia Commons


2 commenti:

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