Articolo da Wikimedia Italia
Nel nostro Paese, ad oggi, vige un divieto alla
libera riproduzione digitale (attraverso fotocamera o smartphone) dei
documenti contenuti in biblioteche e archivi.
Si tratta di un vincolo normativo che pone forti limiti alla ricerca accademica, in quanto condiziona agli studiosi l’accesso alle fonti, presupposto essenziale per una corretta ricostruzione storica e filologica.
Con l’obiettivo di superare queste restrizioni, gli
studiosi italiani hanno intrapreso un lungo (e complesso) percorso di
dialogo con le istituzioni – in particolare, il MiBACT – a favore della
liberalizzazione delle riproduzioni digitali delle fonti.
Il primo passo (2013) è stato la diffusione di un appello, rivolto all’allora Ministro dei Beni Culturali Massimo Bray, promosso dall’iniziativa scientifica Reti Medievali e siglato da sette tra le maggiori società di storici e archeologi italiane e dal Consiglio Universitario Nazionale (CUN).
L’iniziativa sembrò trovare un riscontro nell’entrata in vigore del decreto “Art Bonus” (giugno 2014) salvo poi scontrarsi qualche mese dopo con l’approvazione di un emendamento restrittivo
che ha visto nuovamente esclusi i materiali archivistici e
bibliografici dall’elenco dei beni culturali liberamente riproducibili
per finalità di studio.
Questa nuova battuta di arresto non ha scoraggiato gli accademici italiani che nel mese di settembre 2014 – su iniziativa degli studiosi Andrea Brugnoli, Stefano Gardini e Mirco Modolo – hanno dato vita al movimento “Fotografie libere per i Beni Culturali” a cui hanno aderito circa 5000 ricercatori e docenti italiani di ogni livello e settore umanistico.
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Fonte: Wikimedia Italia
Autore: Francesca Ussani
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Questo opera è distribuito con licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 3.0 Unported.
Articolo tratto interamente da Wikimedia Italia
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